(di SILVIA FUMAROLA, drugstore Repubblica) ROMA. LE BOTTIGLIE vuote con le date scritte col pennarello raccontano brindisi per gli ascolti record, alle pareti le strisce dei Peanuts e i fumetti di Andrea Pazienza, accanto alla scrivanie i disegni della nipote Isabel, l’artista di casa. Il direttore di RaiFiction Eleonora Andreatta, per tutti Tinny dal nome della protagonista di un’opera di Tagore che conquistò i genitori durante un viaggio in India, è una ragazza di cinquant’anni sorridente e schiva. Laurea in Letteratura italiana a Bologna, formazione americana, corsi di cinema alla Ucla, la figlia dello statista Beniamino Andreatta è entrata in Rai come collaboratrice nel 1995 (assunta nel 1998). Oggi è a capo di una struttura strategica: 180 milioni di budget. Una donna “di potere” anche se lei ride quando la si definisce così.
Dottoressa Andreatta, viene tirata in ballo come possibile direttore generale della Rai.
“Penso che la Rai abbia un grande manager indipendente, capace, che ha saputo risanare i conti e che sarebbe in grado di realizzare un grande rilancio del servizio pubblico ed è l’attuale direttore generale Luigi Gubitosi. Ci vuole tempo e ci vuole visione. La Rai è una realtà complessa e lui ha insieme le qualità di un manager di razza e la competenza e la forza di condurre la Rai nella nuova missione del servizio pubblico”.
Come ha iniziato la sua carriera?
“Ho lavorato per Academy pictures, distribuzione cinematografica, con Vania Traxler, negli anni di Kiesolowski, Luhrmann, Sautet, Kaurismaki, Neil Jordan, frequentavo i festival in cerca dei film migliori. All’epoca i film si acquistavano spesso su progetto. Ho aiutato come editor alcuni sceneggiatori a partecipare a concorsi europei e in quell’ambito ho conosciuto Roberto Pace, responsabile per la Rai dell’European Coproduction Association. Quando è diventato capostruttura di RaiUno mi ha chiesto di lavorare con lui”.
Della sua vita privata si sa poco.
“Ho due fratelli e una sorella: Tomaso è economista e vive in Vietnam, mia sorella Erika, architetto, si occupa di promozione culturale, mio fratello Filippo è professore di relazioni internazionali all’Università di Bologna. Mamma è psicoanalista, da lei ho ereditato la passione per il cinema”.
Suo padre è Beniamino Andreatta: mai tentata dalla politica?
“L’idea di fare politica non mi ha mai sfiorato. Sono cresciuta con un’idea della politica come servizio, quasi come un’eredità genetica. Ho un’idea del potere come “possibilità di fare”, non come gestione del potere intesa classicamente. C’era un paragone che mio padre faceva, quello degli scalpellini delle chiese medievali, usi a fare statue perfette anche nel retro che le persone dal basso non potevano vedere ma solo Dio e i piccioni che si posavano. Avevano l’idea delle cose ben fatte, perché le cose bisogna farle bene anche se non vengono viste”.
Frequenta i salotti?
“Viviamo in un rapporto di reciproca indifferenza”.
Dal cinema alla fiction: passaggio indolore?
“Ho avuto la fortuna di lavorare in un periodo epico dello sviluppo della fiction, con Sergio Silva si investiva, contro una politica fino ad allora dominante degli acquisti che aveva creato un ritardo nello sviluppo della produzione nazionale”.
Cosa significa per lei fare servizio pubblico?
“La televisione di servizio pubblico ha la responsabilità di chi non bussa per entrare nelle case: il racconto deve arrivare a tutti non nel senso di inseguire l’ascolto, ma nell’offrire un racconto che sia uno stimolo per le persone. La tv a pagamento è esclusiva, quella pubblica è inclusiva, diventa un’opportunità di essere “al servizio” di pubblici diversi: la fiction tornerà in prime time quest’autunno su RaiDue e RaiTre e poi c’è il web”.
Il suo incarico è sempre stato nelle mani degli uomini. Pensa che ci sia una differenza?
“La strada è lunga, quando si smetterà di parlare di quote rosa sarà un bel giorno. Lavoro con una squadra fantastica, ci sono uomini e donne. Ho cercato di dare spazio ai vari punti di vista perché se tante volte le donne sono state protagoniste lo erano di fiction romantiche. Ora esploriamo il femminile in tutte le sfaccettature: penso alla soldatessa di Limbo dal libro di Melania Mazzucco, alla poliziotta di Non uccidere al coraggio di Lea Garofalo alla donna sindaco interpretata da Violante Placido. Racconteremo la storia di Lucia Annibali che ha ripreso in mano la sua vita”.
Crede davvero che sia esportabile?
“Siamo pronti per entrare nel mercato europeo delle esportazioni (penso a realtà all’avanguardia come quella scandinava, spagnola o turca) e non dobbiamo essere ossessionati dal paragone con gli americani. Da noi arriva solo il meglio del meglio, spesso il prodotto cable. I modelli internazionali fanno parte del bagaglio culturale come i film, i libri, ma ognuno deve trovare la propria strada. Sempre più artisti che lavoravano per il cinema sono interessati alla tv”.
Che principi segue quando sceglie?
“Una regola che mi sono data è non produrre mai una storia in cui non credo. Posso aver fatto errori, ma li ho fatti credendo che fossero storie giuste da condividere”.