(di ANTONIO DIPOLLINA, cialis Repubblica) Intervista alla conduttrice che ha sconfitto i pregiudizi sulle donne attraenti che si occupano di calcio. “Io e Gigi facciamo come se nulla fosse: quando arriva ai microfoni lo vedo come un calciatore”. Milano, nurse dice Ilaria D’Amico, appartiene a se stessa e a nessun altro. «Mi ha accolto quando ero in fuga da tutto, ci vivo da quindici anni, mi sento ospite gradita e restituisco quel che posso in discrezione e senso civico». Certo, alla fine una di Roma rimpiange sempre Roma, certo il sole e gli spazi, certo questo e quell’altro. Ma per esempio alla voce privacy, argomento che scotta, è molto meglio qui che altrove, a iniziare dai vicini di casa che l’avvertono se sotto c’è il paparazzo appostato (c’è sempre) o perché basta evitare i posti non giusti e frequentare solo quelli giusti (ristoranti, piccole trattorie anche) per salvarsi la vita. «Da mamma è un’altra cosa, ma comunque funziona». Anche se, come dire, le scelte di Ilaria non sono esattamente quelle che favoriscono la non-curiosità del pubblico. Ma ne parleremo.
Quindi partiamo con i convenevoli: se diciamo Expo lei pensa alle opportunità o ai guai connessi?
«Io capisco le preoccupazioni di molti. Non capisco quelli che da sempre dicono: era meglio non iniziare. Questo è assurdo. E non sarà un disastro, anzi. Quando esco vedo che la città ha accelerato, si va di corsa. Ma siamo sicuri che sia un difetto solo nostro? Ricordo Londra, ci sono stata due mesi prima delle Olimpiadi e mi ero spaventata: solo cantieri e teloni che coprivano tutto, sembravano indietro di anni, poi è venuto fuori il meglio di sempre. L’altro giorno passavo in treno da Rho per andare a Torino…»
Che ci andava a fare a Torino?
«Dicevo che passavo da lì e ho visto gli stessi cantieri e gli stessi teloni. Mi è ritornata una buona sensazione».
Ormai la questione della donna bella, intelligente, molto attraente che si occupa di calcio e intriga i tifosi ce la siamo messa alle spalle. Giusto?
«E sarebbe anche ora. Dopo tanti anni e grazie a Sky non è più un tema».
Parliamo di calcio.
«Un anno affascinante e di grandi racconti. Anche se è sempre più difficile e ogni domenica sera sul tardi mi lascia più frustrazioni del solito. Rispetto agli anni passati c’è molta più insofferenza dagli addetti ai lavori. Le colpe una volta si diluivano, si ragionava di più: oggi è più facile sparare subito addosso all’altro, se è un giornalista, un arbitro, un commentatore meglio ancora, bersaglio facile e ovazioni di molti tifosi che cercano un capro espiatorio».
Spieghiamola.
«Negli anni passati facevo il bilancio a fine campionato e dicevo: anche quest’anno in cento ci hanno dato degli anti-Juve, in cento degli anti-Inter e così via, e altrettanti dicevano filo-Juve, filo-Milan eccetera. E quindi pensavo: anche per quest’anno abbiamo fatto il nostro dovere. Ora è tutto saltato, tecnici e giocatori che hanno fallito la stagione trovano facilissimo scaricare subito sui bersagli visibili. Se in trasmissione non riesco in diretta a ribaltare questa prospettiva subentra frustrazione, ovvio».
Anche perché prevale il commento in diretta, i social rabbiosi che stroncano subito tutto e tutti. O no? Lei non frequenta, a occhio.
«Diciamo che spio dal buco della serratura quel mondo difficile, è impossibile evitarlo, lo utilizzo come osservatorio».
Sbirciare i social senza partecipare. Si chiama lurkare.
«Non suona benissimo. Ma pazienza. Sono una lurkatrice».
Ma perché più insofferenza?
«Chi lo sa. Meno soldi, più ambizioni e i sogni dei tifosi che rimangono sempre gli stessi. Domenica scorsa ho visto Florenzi abbandonare un’intervista in malo modo: Florenzi è un ragazzo aperto, che viene ai microfoni e si concede andando dritto sulle cose. Non so che sta succedendo».
Poi a un certo punto sbuca Massimo Ferrero, il Viperetta, e passa tutto.
«Lo vivo come un fumetto, simpatico. Così come è simpatico a molti. Ma lo è perché la Samp vince e tecnicamente il suo compito da presidente, ovvero avere un bravo allenatore e dargli i giocatori giusti, lo ha assolto in pieno. Se fosse andato male quello, il personaggio sarebbe diventato una macchietta».
Ma lei si era lanciata nei talk della politica, da cui ora è assente. Ripensamenti?
«No, solo un anno in cui avevo bisogno di più tempo per me. Quando facevo Exit c’era un passo cadenzato dei talk, sulle varie reti, per la settimana. Ora sono quasi raddoppiati, dal mattino alla sera. E al tempo stesso, guarda caso, la politica non si è fatta più raccontare».
Nel senso?
«I talk di qualche anno fa attaccavano l’immobilità della politica. Da Renzi in avanti si inizia a fare e a parlare di meno, bene, male, chissà, lo vedremo. E sarà a quel punto, tra qualche tempo, che per me avrà senso tornare a raccontarla e capire che è successo. Ora come ora la politica è meglio guardarla».
Proviamo a tornare a un altro punto. Non è che sia un problema la sua storia con Gianluigi Buffon, è che in sé era esattamente il contrario di quello che lei era stata prima, riservatissima su tutto e iperconnessa con il suo lavoro: a quel punto lei fa una mossa che definire spiazzante è poco, nonché ad altissimo rischio.
«Succede, no? Non è una scelta professionale o strategica, ma di cuore».
E ci mancherebbe altro. Però?
«A quel punto decidi che balli il ballo che hai scelto, con tutti gli annessi e i connessi. Nel mio caso una volta fatta la scelta sono anche andata dal mio amministratore delegato e gli ho chiesto se potevo creare problemi».
Chissà se esiste un altro caso nella storia e nel mondo: una si innamora e va dall’amministratore delegato ad avvertirlo. A occhio era felicissimo, no?
«Mi ha semplicemente detto che non c’era alcun problema».
E se avesse detto il contrario?
«Se si creano problemi nella vita si può sempre cambiar posto di lavoro. Ma così è troppo appariscente, in realtà è stata una cosa tranquillissima».
Buffon arriva ai microfoni, in studio c’è lei. Lo sa, vero, che in quel momento la concentrazione del Paese intero si addensa tutta sullo schermo della tv?
«Con Gigi ci scherziamo sopra, ovvio che ci siamo posti il problema e ne abbiamo parlato. Poi abbiamo deciso di fare come se nulla fosse, nel modo più naturale possibile. Difficile da credere, ma quando arriva ai microfoni io riesco a vedere dall’altra parte un giocatore di calcio e basta».
Quanti segreti conosce della Juve e del calcio intero, segreti che qualunque suo collega venderebbe l’anima per avere?
«Nessuno. So quello che sa un qualunque nostro inviato».
Questa non è difficile da credere. È impossibile.
“Semplicemente per non creare conflitti con Gigi non parliamo del campionato. È così. Deve credermi sulla parola».
Ovvio. E tornando a Milano: la città, si diceva, rispetta la sua privacy. Ma non è sempre andata così.
«Il problema non è il gossip. Ci sono stati eccessi di grande falsità e volgarità e infatti è stato l’unico caso in cui ho fatto partire denunce. Ma sulla quotidianità nessun problema, ripeto. Di Milano sono innamorata anche per la sua base di riservatezza, che è solidissima».
Quando arriva Valerio Staffelli con il tapiro lei è una fuoriclasse, tocca ammetterlo.
«Quello è un gioco. Al tapiro alla fine ci si affeziona».