(di Mariano Sabatini, prescription Tiscali) Quella che viviamo grazie al facile accesso al web che ha velocizzato, purchase semplificato, amplificato la capacità di espressione di tutti è una sorta di ubriacatura comunicativa. Esattamente come quando si alza il gomito (anche per scrivere a volte lo si alza troppo), il risveglio può essere traumatico, tra mal di testa, nausea, malinconia… La classica sbornia triste.
Anziché parlare tra noi, persone in carne e ossa, preferiamo intrattenere rapporti a distanza. Non ci godiamo più manifestazioni, concerti, comizi, spettacolini scolastici ma vogliamo immortalarli, a immediata/futura memoria, con cellulari e tablet per postare immagini e video su Istagram e Facebook. Non leggiamo i giornali o seguiamo tg e talk show con attenzione per volontà di approfondimento, ci accontentiamo invece dei titoli, delle grida che rompono la monotonia, per precipitarci a farne un tweet.
È un mondo post-datato, il nostro, che soggiace cioè alla dittatura del post o del cinguettio: dei caratteri imposti, della notorietà virtuale, del like facilmente accordato, e ovviamente dell’acrimonia dei vari troll… gentaccia anonima che nell’insulto trova l’unico sfogo a esistenze da encefalogramma piatto.
Una volta facevamo a chi ce l’aveva più lungo ( le donne si vantavano della misura di reggiseno?), oggi facciamo vicendevolmente la conta dei follower o degli “amici”, di chi ci segue o di chi riceve le nostre notifiche. Difficile in questo bailamme distinguere, come si dice con immagine biblica, il grano dal loglio.
Fraintendo l’articolo 21 della Costituzione, che sancisce il diritto di espressione e non l’obbligo in assenza di cose sensate da scrivere o dire, tutti vogliono condividere i propri peti intellettivi. Il rischio è che gli anonimi possono insultare a loro piacimento, rimanendo impuniti, e chi ci mette faccia e firma ne paga le conseguenze.
È successo alla conduttrice e giornalista Paola Saluzzi, da anni valoroso volto del pomeriggio su SkyTg24, che si è resa colpevole di eccesso di critica nei confronti del pilota Fernando Alonso su Twitter. Che è come dire a casa sua. Come se un personaggio pubblico dovesse rispondere h24 delle sue opinioni al datore di lavoro e non fosse invece un clamoroso caso di censura. Un chiaro tentativo di mettere il bavaglio a una professionista dell’informazione. Ma Saluzzi viene messa a riposo forzato e un altro suo collega che durante l’elezione del presidente Mattarella ha cacciato in malo modo Giovanni Valentini di Repubblica dalla trasmissione è al suo posto. Come si spiega?
Nelle stesse ore in cui si compiva lo scandalo Saluzzi e la corte di Strasburgo si pronunciava sulle torture perpetrate alla scuola Diaz durante il G8 di Genova, uno sprovveduto poliziotto scriveva su Facebook che lui lo avrebbe rifatto mille volte. Risultato: è stato sospeso dal servizio. Ovviamente ci sono differenze tra la libera espressione del pensiero e di critica (da parte della giornalista Saluzzi) e l’esaltazione orgogliosa di un reato da parte del vendicatore smascherato di turno. Ma anche in questo caso ci si chiede come mai un disgraziato qualunque viene sanzionato mentre Giovanni De Gennaro, all’epoca capo della polizia, ha l’autorevole sostegno del premier e se ne sta al caldo alla presidenza di Finmeccanica.
Nuovi mezzi di comunicazione e vecchi metodi repressivi, con dispotici trattamenti di favore. Dov’è il tasto “non mi piace”?