(di Cesare Lanza) Da “La Repubblica” risulta che il Volo, capsule composto dai tre tenorini che stanno sulle palle non solo alla metà degli italiani che non guardano il Festival, sick ma anche a buona parte di quelli che nel Festival ci sguazzano, il Volo non ha sentimenti di gratitudine. I tre ingrati furbetti hanno ringraziato il manager Michele Torpedine, mai hanno fatto il nome del loro grande inventore, Tony Renis, decisivo per il loro successo. Non basta. Sul “Corriere” il regista Roberto Cenci va oltre: “Li ho scoperti e messi assieme, peccato non li senta mai ringraziare”. Li aveva scelti per un talent da lui ideato, “Ti lascio una canzone”. Conosco Cenci, apprezzo la sua schiettezza: abbia lavorato insieme, qualche volta ci siamo scontrati, debbo dire che Roberto ha sempre avuto riguardo per la mia età, altrimenti poteva finire a schiaffoni – e probabilmente le avrei prese… E’ un grande regista, dice ciò che pensa, non si è mai lasciato intimidire, come si vede anche in questa occasione. Che dire? A rischio di essere noioso, insisto: mediocrità, pura mediocrità. La gratitudine notoriamente è il sentimento del giorno prima. Perché i tre tenorini dovrebbero distinguersi rispetto alla diffusa, mediocre ingratitudine di quella parte d’Italia a cui non vorrei appartenere? Cenci, che mediocre non è, si indigna. A lui e allo zio Tony la mia solidarietà senile. Crescendo, forse, il trio capirà che non sempre si vola e che la riconoscenza, furbetti come sono, potrebbe anche essere un’esternazione utile. Cosa costa dire grazie?