TORNA IN SALA “BARRY LYNDON”, IL CAPOLAVORO DI KUBRICK COMPIE 40 ANNI

TORNA IN SALA “BARRY LYNDON”, IL CAPOLAVORO DI KUBRICK COMPIE 40 ANNI

152548943-957ebb39-ba07-4aa4-b445-9d9b9b46ae36(di CHIARA UGOLINI, unhealthy La Repubblica)

Esce in una settantina di cinema in tutta Italia il 12 gennaio il film del regista americano del 1975 in versione restaurata. Vincitore di 4 Oscar (tra cui quello alla costumista italiana Milena Canonero), il film racconta le gesta di un avventuriero e arrampicatore sociale irlandese del Settecento.

Il capolavoro di Stanley Kubrick Barry Lyndon torna da lunedì 12 gennaio, in una settantina di sale in tutta Italia, in versione restaurata dalla Cineteca di Bologna in lingua originale con sottotitoli italiani a quarant’anni dalla sua creazione. Vincitore di 4 Oscar (tra cui quello alla costumista italiana Milena Canonero), il film copre un arco di tempo di 35 anni raccontando le gesta di un avventuriero e arrampicatore sociale irlandese del Settecento. Tratto dal romanzo dello scrittore William Thackeray, il film non ebbe un grande successo di pubblico all’uscita ma con il tempo i critici hanno finito per considerarlo uno dei film migliori del regista americano.

Un avventuriero irlandese al posto di un imperatore francese. Quando Stanley Kubrick, dopo il flop di un film russo sullo stesso tema, Waterloo, decise di abbandonare il progetto su Napoleone Bonaparte con Jack Nicholson, non volle però abbandonare l’idea di un film storico. Scelse quindi di adattare il libro di Thackeray apportando però molte modifiche al romanzo che era raccontato in prima persona essendo un memoriale dello stesso Redmond Barry (Ryan O’Neal) che si immagina dettato nel 1814, mentre si trova detenuto nella prigione londinese di Fleet per debiti. Ma il più grande intervento che Kubrick fece sul testo originale riguarda il personaggio di Lord Bullington, il figlio primogenito di Lady Lyndon (Marisa Berenson), da sempre in scontro violento con il patrigno: in particolar modo, la grande trovata drammaturgica di Kubrick che lo riguarda coinvolge alcune sequenze decisive fra cui quella del concerto nel salone di musica la cui sequenza vi mostriamo in anteprima.

Come un documentario, la verità sul Settecento. Sette anni dopo 2001: Odissea nello spazio, Kubrick dichiara: “I film storici hanno in comune con la fantascienza il fatto che si cerca di creare qualcosa che non esiste”. L’idea di film storico per il regista era molto precisa come dichiarato dal suo scenografo Ken Adam (che per il film vinse un Oscar): “Stanley voleva che fosse una specie di documentario sul XVIII secolo”. Un documentario significa accuratezza assoluta in fatto di luoghi, costumi e accessori. Prima dell’inizio delle riprese Kubrick e i suoi collaboratori furono impegnati in un estenuante tour di sopralluoghi che terminò con la scelta di alcune location in Irlanda e in Inghilterra: in particolare tutta una serie di dimore storiche che insieme composero come un puzzle Hackton Castle, il castello della famiglia Lyndon. Per costruire il suo immaginario, Kubrick si rifece abbondantemente ai pittori inglesi del Settecento in particolare a Thomas Gainsborough, John Constable e William Hoghart.

I costumi da Oscar fatti sul posto. I costumi meravigliosi del film di Kubrick furono firmati dall’italiana Milena Canonero e dalla danese Ulla-Britt Soderlund, che condivisero l’Oscar nel 1976. Le due costumiste si divisero il lavoro in questo modo: l’italiana fu inviata da Kubrick in giro per l’Europa a comprare tutte le edizioni disponibili delle illustrazioni d’epoca e a questi si rifecero per lavorare sui modelli. La Canonero era insoddisfatta degli abiti che trovava nelle casa di moda (tutti di impianto teatrale) e decise quindi insieme alla sua collega danese di realizzare in proprio tutti gli abiti e persino le parrucche (solo Lady Lyndon ne aveva tre). Fu allestito un laboratorio di oltre quaranta persone e Ulla-Britt Soderlund fu incaricata di dirigere questo laboratorio che fu istallato durante la preproduzione nella periferia di Londra, poi spostato in Irlanda e infine riportato in Inghilterra per la fine delle riprese. Un lavoro immenso: basti pensare alle centinaia di uniformi che vennero affidate ad una piccola industria manifatturiera, che venne però ripagato con l’Academy Award (il primo di tre per la nostra costumista).

Alla luce di una candela. Questa ricerca di verità al limite della maniacalità Kubrick la applicò anche all’immagine. Insieme al direttore della fotografia John Alcott (che per il suo lavoro meticoloso fu anche premiato con l’Oscar) scelse di utilizzare solo la luce naturale dell’epoca, ovvero quello delle candele. Quello che poteva sembrare una follia in realtà fu una scelta ambiziosa resa possibile grazie all’evoluzione tecnica in campo ottico nella fabbricazione della pellicola con nuove emulsioni ultrasensibili e nei procedimenti di sviluppo e stampa. Kubrick chiese direttamente a Ed DiGiulio, presidente della Cinema Products Corp., di modificare l’obiettivo della macchina da presa Zeiss. E’ lo stesso DiGiulio che racconta in American Cinematographer: “Kubrick mi chiamò per chiedermi se era possibile adattare per la BNC l’obiettivo Carl Zeiss Planar 50mm f/0.7 che si era appena procurato e che aveva una focale da 50 millimetri e un’apertura massima di f/0.7. Quando lessi le specifiche delle dimensioni, conclusi che sarebbe stato impossibile collegarlo alla sua BNC a causa del diametro e anche perché la parte posteriore sarebbe arrivata a soli 4 mm dal piano della pellicola”. Nonostante questo Kubrick insistette sino a quando DiGiulio non accettò di approfondire la questione fino al risultato finale. Un obiettivo che ha fatto la storia del cinema e che è stato esposto in mostra al Palazzo delle Esposizioni nel 2007 insieme a tutti gli altri cimeli di questo genio della Settima Arte.

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