Prima della Scala di Milano, opera, cast e dove vederla in tv

Prima della Scala di Milano, opera, cast e dove vederla in tv

 

‘La forza del destino’ di Giuseppe Verdi inaugura oggi, sabato 7 dicembre, la Stagione 2024/2025 del Teatro alla Scala. La Prima è diretta dal direttore musicale Riccardo Chailly e interpretata da Anna Netrebko (Donna Leonora; la parte sarà sostenuta il 28 dicembre e il 2 gennaio da Elena Stikhina), Brian Jagde (Don Alvaro; Luciano Ganci canterà il 22 e 28 dicembre e il 2 gennaio), Ludovic Tézier (Don Carlo di Vargas; e Amartuvshin Enkhbat il 2 gennaio), Vasilisa Berzhanskaya (Preziosilla), Alexander Vinogradov (Padre Guardiano; e Simon Lim il 28 dicembre e 2 gennaio), Marco Filippo Romano (Fra Melitone), Fabrizio Beggi (il Marchese di Calatrava), Carlo Bosi (Mastro Trabuco). Marcela Rahal è Curra, Huanhong Li è un Alcalde e Xhieldo Hyseni un Chirurgo. La regia è firmata da Leo Muscato, con scene di Federica Parolini, costumi di Silvia Aymonino e luci di Alessandro Verazzi.

La serata inaugurale e le repliche
La Serata inaugurale è dedicata a Renata Tebaldi (Pesaro, 1 febbraio 1922 – San Marino 19 dicembre 2004) nel ventennale della scomparsa. L’artista fu splendida interprete della parte di Leonora alla Scala nel 1955 sotto la direzione di Antonino Votto. L’opera sarà eseguita integralmente nella versione del 1869 ripensata da Verdi per la Scala, secondo l’edizione critica curata per Ricordi da Philip Gossett e William Holmes nel 2005. La Prima sarà seguita da 7 repliche il 10, 13, 16, 19, 22, 28 dicembre e 2 gennaio. Restano alcuni posti solo sulla rappresentazione del 2 gennaio.
Dove vederla in tv Come ogni anno, lo spettacolo sarà ripreso dalle telecamere di Rai Cultura e trasmesso in diretta televisiva su Rai 1 e radiofonica su Radio3 alle ore 18.L’opera
La prima versione della “Forza del destino” va in scena a San Pietroburgo il 10 novembre 1862, dopo una gestazione già complicata. La prima è programmata per il 1861, ma di fronte all’indisposizione della protagonista, Emilia La Grua, Verdi torna a Sant’Agata e rivede profondamente la partitura: gli interventi continueranno fino all’ultimo, persino durante le prove. Per il palcoscenico del Teatro Imperiale il compositore ha immaginato un lavoro dalla drammaturgia nuova e distante dai precedenti: un vasto affresco volontariamente ignaro di unità aristoteliche di tempo, luogo e azione in cui i personaggi agiscono su uno sfondo variopinto che mescola nobili e popolani, sacerdoti e militari, momenti mistici e trivialità da locanda o da accampamento.
Qualche anno prima Verdi aveva scritto: “Quando verrà il poeta che darà all’Italia un melodramma vasto, potente, libero d’ogni convenzione, vario che unisca tutti gli elementi e soprattutto nuovo!”. La fonte principale per il librettista Francesco Maria Piave è il dramma “Don Álvaro o la Fuerza del sino” di Ángel de Saavedra, ma il carattere composito dell’opera è già insito nella pluralità delle fonti letterarie: nell’Atto terzo trova posto una scena del “Wallensteins Lager” di Friedrich Schiller, che Verdi aveva già in mente nel 1849 per il progetto mai realizzato dell’ “Assedio di Firenze”, con “soldati, vivandiere, zingari, astrologhi, persino un frate che predica alla maniera più comica e deliziosa del mondo”. L’estetica di Verdi qui attinge alla fantasia dell’Ariosto contro il Tasso, alla libertà di Shakespeare, Schiller e Hugo contro le imposizioni del classicismo. Come già in “Macbeth” e “Rigoletto” (a partire – lo ricordiamo bene grazie al 7 dicembre 2015 – da Giovanna d’Arco). Ma ora i personaggi si moltiplicano, gli spazi si allargano e aumenta il contrasto tra il sublime e il triviale. Dalla fusione dei generi si passa all’esaltazione del loro contrasto. In mezzo ci sono Meyerbeer e il Grand-Opéra ma anche l’Opéra comique. Ne è testimone il famigerato “rataplan” i cui precedenti più illustri si trovano nella “Fille du régiment” e negli “Huguenots”. Pagina spesso esecrata, ma Verdi scrisse di Preziosilla e Melitone: “Quelle parti sono importantissime, e sotto un certo rapporto le prime dell’opera”.

“La forza del destino” è la prima opera che Verdi scrive dopo l’Unità d’Italia, ed è a tutti gli effetti un lavoro post-risorgimentale: il popolo che canta con una sola voce nei grandi cori di “Nabucco” o “Macbeth” ha perso la sua coesione e si presenta come una plebe cinica, affamata e dispersa. Proprio questo realismo impietoso e questo contrasto tra episodi giustapposti costituiranno, come spiega Julian Budden, la principale influenza di Verdi sullo sviluppo dell’opera in Russia, con il superamento dell’eredità di Glinka e la difficile affermazione di Musorgskij e del suo “Boris Godunov” nel 1874. L’operazione compiuta da Verdi con la Forza e ripresa da Musorgskij è soprattutto la fusione tra il linguaggio del melodramma e la forma principe della letteratura ottocentesca: il romanzo.
Dopo San Pietroburgo i ripensamenti continuano, a partire dalla prima ripresa a Madrid nel 1863. Nel 1869 la nuova versione approntata per la Scala introduce, oltre alla fiammeggiante Sinfonia, un finale completamente nuovo. A San Pietroburgo e Madrid il già impressionante catalogo di morti e maledizioni si concludeva, dopo il duello in scena, con il suicidio di Alvaro, furente e disperato, in un’atmosfera apertamente nichilista. Già nel 1863, però, Verdi aveva scritto: “Non bisogna arrischiare La forza del destino com’è, ma il difficile sta nel trovare questo benedetto scioglimento”. Il libretto rivisto con il nuovo poeta Antonio Ghislanzoni rivela un’altra influenza letteraria, quella di Alessandro Manzoni. Negli stessi mesi Ghislanzoni stava traendo dai Promessi sposi il libretto dell’opera dallo stesso titolo di Errico Petrella, che sarebbe andata in scena a Lecco nel 1869. Nel nuovo finale il romanticismo nero della chiusa accesa e disperata di San Pietroburgo si distende, il duello e la morte di Carlo si spostano fuori scena, la rassegnazione si sostituisce alla bestemmia. Il sublime terzetto in cui Padre Guardiano chiama Alvaro e Leonora morente alla rinuncia e alla preghiera conclude la lunga peripezia nella pace della fede – e della morte. Pochi mesi prima della prima, il 30 giugno 1868, Verdi aveva incontrato, per la prima e unica volta, il Manzoni nella sua casa di via Morone a Milano. Riccardo Chailly e il cast

“La forza del destino” è il nono titolo verdiano di Riccardo Chailly alla Scala e la sua undicesima inaugurazione di stagione. Dopo le giovanili “Giovanna d’Arco” nel 2015, “Attila” nel 2018 e “Macbeth” nel 2021, l’anno scorso il Maestro aveva scelto per il 7 dicembre un grande titolo spesso proposto in apertura di stagione: “Don Carlo”. Al contrario “La forza del destino” è un capolavoro relativamente poco presente in cartellone: se le ultime esecuzioni risalgono al 1999 con Riccardo Muti (versione scaligera del 1869) e al 2001 con Valery Gergiev e i complessi del Mariinskij (versione di San Pietroburgo del 1862), l’unico allestimento in apertura di stagione è addirittura del 1965, con Gavazzeni sul podio e la regia di Margherita Wallmann. La Forza, prosecuzione di un percorso verdiano, si lega anche al recente Boris Godunov, un’opera fortemente influenzata proprio dal capolavoro pietroburghese di Verdi.

Torna a inaugurare la Stagione con Verdi Anna Netrebko, dopo il trionfo dell’anno scorso in “Don Carlo” e del 2016 con “Giovanna d’Arco”. L’artista, di casa alla Scala, è impegnata anche venerdì 29 novembre nel concerto straordinario diretto da Riccardo Chailly nel centenario della scomparsa di Giacomo Puccini. Debutta al 7 dicembre Brian Jagde, reduce da diverse produzioni di quest’opera nei principali teatri del mondo (da Parigi a Londra, al Metropolitan e nelle scorse settimane a Barcellona), che alla Scala è già stato Turiddu in Cavalleria rusticana e Calaf in Turandot, con grande successo.

Approda all’Inaugurazione in scena anche Ludovic Tézier, uno dei grandi baritoni di oggi, che aveva partecipato al 7 dicembre televisivo “…a riveder le stelle” durante il lockdown oltre a cantare in “Onegin” (2006), “Lucia” (2006) e “Un ballo in maschera” (2022). Alexander Vinogradov è stato recentemente ascoltato nel “Requiem” di Verdi diretto in San Marco da Riccardo Chailly nel centocinquantenario dalla prima esecuzione.

Il mezzosoprano Vasilisa Berzhanskaya, emersa negli ultimi anni come interprete rossiniana, tornerà alla Scala nel Concerto di Natale con la Petite messe solennelle di Rossini diretta da Daniele Gatti il 21 dicembre, e nel prossimo giugno come Adalgisa in “Norma” diretta da Fabio Luisi. Marco Filippo Romano è uno dei più affermati giovani bassi italiani: alla Scala ha cantato nell'”Italiana in Algeri” diretta da Ottavio Dantone, nel “Barbiere” diretto da Chailly (e nella ripresa con Evelino Pidò) e nelle Zite ‘ngalera di Vinci dirette da Andrea Marcon. Fondamentali in un’opera come La forza sono le parti apparentemente minori come il Marchese di Calatrava, qui Fabrizio Beggi che ricordiamo splendido Monterone nel Rigoletto diretto da Michele Gamba, Mastro Trabuco che è lo splendido Carlo Bosi e Curra, l’Alcalde e il Chirurgo interpretati da Marcela Rahal, Huanhong Li e Xhieldo Hyseni.

Personaggio essenziale di questo grande affresco è infine il Coro, diretto da Alberto Malazzi.
La regia di Leo Muscato
“‘La forza del destino’ – scrive Leo Muscato nelle note di regia per il programma di sala – non si limita ai drammi personali. Qui la prospettiva è molto più ampia e la tragedia dei protagonisti è immersa in un mondo in continuo movimento, popolato da soldati, pellegrini e viaggiatori. Un universo vivo e pulsante, che ha come sfondo una guerra che travolge tutti quanti. Nel primo atto è ancora una minaccia lontana, evocata dalle parole di Leonora ‘Con te sfidar impavida / di rio destin la guerra’. Quando ci è stata commissionata questa produzione, l’attenzione mediatica era concentrata su una guerra che dominava quotidianamente le notizie. Nel frattempo, i conflitti sono diventati due – senza contare le guerre dimenticate che faticano a trovare spazio nei media. E ogni giorno cresce la percezione che i loro confini possano espandersi rapidamente, accendendo ulteriori focolai di instabilità. In un momento storico così delicato, il rischio di scivolare nella banalizzazione è tangibile e insidioso. Per questo, ancora una volta, abbiamo cercato di percorrere una strada che rifiutasse le semplificazioni. Abbiamo lavorato per approfondire la complessità del testo, con l’obiettivo di tradurre i suoi significati in modo che risultassero comprensibili, attuali e capaci di suscitare una profonda emozione negli spettatori a cui oggi ci rivolgiamo”.
“Abbiamo scelto di raccontare questa storia attraversando epoche diverse, esplorandola da prospettive spaziali e temporali sempre nuove. Il racconto prende avvio nel Settecento e si spinge fino ai giorni nostri, senza vincolarsi rigidamente a una precisa aderenza storica – spiega Leo Muscato – Così, se all’inizio ci troviamo in un’epoca in cui una giovane donna, per inseguire il suo amore, deve sfuggire al controllo paterno travestendosi da uomo, nell’ultimo atto assistiamo alla tragica follia di un ufficiale decorato, consumato dalla sete di vendetta, che attraversa chilometri di terre devastate dai bombardamenti per uccidere il suo nemico, ormai divenuto un prete che cerca di espiare le sue colpe scavando tra le macerie a mani nude. Fin dal principio, il nostro immaginario si è concentrato sull’idea di un movimento rotatorio, una ruota del destino in continuo movimento con i personaggi che si muovono in direzione opposta, avanzando con ostinazione attraverso scenari che cambiano continuamente. Con il trascorrere del tempo, dei secoli, questi paesaggi si fanno via via più cupi, più devastati, e sempre più realistici”.”Anche i costumi seguono questa evoluzione: all’inizio, nel Settecento, appaiono come sagome stilizzate, evocazioni simboliche di un’epoca lontana. Man mano che la narrazione si avvicina ai nostri giorni, acquistano una concretezza sempre maggiore, fino a diventare profondamente realistici, specchio fedele del mondo che raccontiamo”, conclude Leo Muscato.’La forza del destino’ e la Scala”La forza del destino” segna la riconciliazione tra Giuseppe Verdi e la Scala dopo la frattura intervenuta con Bartolomeo Merelli in occasione della prima assoluta della Giovanna d’Arco nel 1845. Verdi non avrebbe più scritto un’opera nuova per il Teatro milanese fino a Otello nel 1887, ma opera modifiche sostanziali alla partitura della Forza presentata a San Pietroburgo nel 1862 in occasione della prima al Piermarini, che avviene il 27 febbraio 1869 con Eugenio Terziani sul podio, Teresa Stolz protagonista e lo stesso Verdi a sovrintendere all’allestimento. Nell’800 l’opera sarebbe stata ripresa solo nel 1871 e 1877, con la direzione di Franco Faccio. È Arturo Toscanini a riprendere il titolo nel nuovo secolo con una rappresentazione nel 1908, e quindi nel 1928 con una nuova produzione firmata da Giovacchino Forzano. Le scene, di Edoardo Marchioro, fanno da sfondo anche alle produzioni dirette da Giuseppe Del Campo (1929, 1930), Gabriele Santini (1934), Gino Marinuzzi (1940), Victor de Sabata e Nino Sanzogno (1943).
Nel Dopoguerra il primo direttore a riportare alla Scala La forza del destino è Victor de Sabata nel 1949, di nuovo alternandosi con Nino Sanzogno. La regia è di Carlo Piccinato e le scene di Nicola Benois, che firmerà i bozzetti di tutti gli allestimenti fino al 1965. Particolare affezione per questo titolo dimostra Antonino Votto, che la dirige nel 1955 con Renata Tebaldi come Leonora e Giuseppe Di Stefano come Don Alvaro, e poi ancora nel 1957 e 1961. Nel 1965 Gianandrea Gavazzeni sceglie La forza per aprire la Stagione, la regia è di Margherita Wallmann e le scene ancora di Nicola Benois. Il cast del 7 dicembre vede Ilva Ligabue, Carlo Bergonzi, Piero Cappuccilli (sostituito dal secondo atto da Carlo Meliciani), Nicolai Ghiaurov e Giulietta Simionato per l’ultima volta Preziosilla alla Scala dopo quattro produzioni. In locandina è presente tra i danzatori solisti anche Luciana Savignano, da poco entrata a far parte del Corpo di Ballo della Scala.
Dopo aver inaugurato la Stagione 1965/66, La forza del destino torna alla Scala nel 1978, diretta da Giuseppe Patanè per la regia di Lamberto Puggelli. Le scene di questo allestimento leggendario sono firmate da Renato Guttuso, che aveva già collaborato alla creazione di altri tre spettacoli alla Scala. Storico il cast, con Montserrat Caballé, José Carreras, Piero Cappuccilli e Nicolai Ghiaurov. Bisogna aspettare 21 anni perché il titolo venga rimesso in cartellone, e a riprenderlo ci pensa Riccardo Muti con la regia di Hugo de Ana, che firma anche scene e costumi. Tra i protagonisti Georgina Lukács, José Cura, Leo Nucci e Luciana D’Intino ma anche Alfonso Antoniozzi come Melitone. Questo stesso allestimento verrà portato in tournée in Giappone l’anno seguente sempre con Muti sul podio: saranno le ultime esecuzioni della versione scaligera del 1869 con i complessi del Teatro. La Forza torna però alla Scala anche nel 2001, quando i complessi del Mariinskij diretti da Valery Gergiev eseguono la versione di San Pietroburgo del 1862 nell’ambito della rassegna Grandi Teatri per Verdi.

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