A dieci anni dall’ultima puntata di “Moby Dick”, torna lo storico marchio di Radio2. Tutto è cambiato tranne l’essenza del programma…
Un’essenza libera dalle solite playlist commerciali. Non è una cosa negativa perché i grandi successi vengono trasmessi comunque, ma ci concentriamo su una proposta alternativa con una ricerca nel campo di vari generi musicali, dalla rock classica alla musica rock alternativa, alla musica world, quindi alle musiche del mondo, alla musica jazz. Spessissimo entriamo nel dettaglio, nel merito dei significati delle canzoni. Questo è l’elemento essenziale, che è rimasto sempre lo stesso con la balena che viaggia anche nella Fossa delle Marianne della musica, andando a pescare delle cose veramente meno note. E da pochi anni è anche diventata psicologa… Le mie conoscenze nel campo dell’animo umano cerco di inserirle nella nuova versione di “Moby Dick”. Ogni settimana il programma propone un tema diverso.
Quale fino ad oggi ha particolarmente segnato questo percorso? Abbiamo iniziato proprio con un tema archetipico, la rinascita, la prima settimana. Ci riferivamo al fatto che, partendo dal titolo del programma, questo cetaceo avesse vagato per mari e che, rinascendo, diventasse qualcosa di nuovo, un Moby Dick 2.0, definendolo con il linguaggio attuale. Gli ascoltatori hanno interagito moltissimo perché invitati a raccontare le proprie rinascite, con delle belle storie. In maniera molto molto breve, anche con messaggi vocali, hanno testimoniato piccole e grandi rinascite della loro vita: dopo un abbandono amoroso, dopo aver lasciato il lavoro per ricominciare una nuova vita, dopo aver cambiato città.
C’è una parola che le viene in mente adesso che potrebbe ispirare una puntata? Mi viene in mente l’acqua come luogo di purificazione per portare via delle cose negative o come tramite per unire i popoli. Se dovessi fare una settimana su questo tema, metterei in campo anche musiche che uniscono le persone nel Mediterraneo, perché alla fine l’acqua ci unisce. Trasmetterai delle canzoni algerine, turche e di tutti quanti i Paesi del Mediterraneo. IL tema è di ispirazione a 360 gradi, infatti potrei parlare dei nostri atleti che negli ultimi anni ci hanno dato tante soddisfazioni nelle loro gare acquatiche. Potrei provare ad intervistare Federica Pellegrini e potrei affrontare anche il tema della paura o dell’amore.
L’interazione con gli ascoltatori, in tarda serata, è in qualche modo più intima?
Esatto, è come se cadessero delle riserve, come se ci si sentisse più soli. Ma in realtà la notte ci sono tantissime persone che lavorano, come gli autotrasportatori o altri che affrontano i turni di lavoro e non hanno molto spazio in altri momenti della giornata per esprimersi o per sentirsi parte di una comunità. Dopo “Moby Dick” su Radio 2 ci sono “I Lunatici”, un’altra trasmissione molto molto bella che ha un contatto praticamente al cento per cento con gli ascoltatori. La notte in radio si raccontano storie più intime di se stessi perché spesso si ha l’idea che non veniamo ascoltati da tanti, invece non è proprio così.
Chi sono i pensatori che partecipano a “Moby Dick”?
Ci sono gli ascoltatori filosofi ad esempio. C’è uno che scrive una massima al giorno sul tema, partecipando in maniera assolutamente attiva. Mi diverto a dire che quella del programma è una democrazia partecipativa.
La musica rock, e più in generale la musica alternativa, che ruolo hanno oggi?
Il rock, come diceva Neil Young, non morirà mai, ed è proprio così. Dopo tanti anni in cui è stato un po’ relegato perché non andavano più di moda le chitarre, dato che si sentivano solamente i sintetizzatori, proprio dall’Italia c’è stato il ritorno del rock con i Maneskin. Non è esattamente una band di rock alternativo, ma di fatto ha riportato la tipica formazione di rock band con chitarra, basso, batteria e voce e con il cantante che è un leader carismatico. Ma non solo grazie a loro ovviamente, ma a tutta una serie di musicisti. Quello che però vediamo e sentiamo nelle radio e nelle televisioni non è esattamente quello che accade. Nel senso che esiste un’enormità di musica e di persone che suonano musica di ogni genere e ad altissimi livelli. Il problema è che magari non vengono intercettati. Il ruolo di uno speaker, di un autore radiofonico musicale è ancora quello di cercare.
Cosa le piace delle nuove proposte, dei giovani cantanti?
Mi piacciono artisti che generalmente non conosce nessuno o che ancora devono essere scoperti dal grande pubblico. Sono molto entusiasta del nuovo filone di jazz inglese delle giovani generazioni. Si tratta di tanti musicisti cresciuti in Inghilterra ma di origini caraibiche e africane e non solo, che creano gruppi che sono una mistura meravigliosa e coltissima tra il jazz e il soul.
Fuori dalla radio cosa ascolta?
Sono appassionata di musica brasiliana del periodo tropicalista, quindi anni ’70, però sarei troppo noiosa e allora mi sforzo e cerco di aprirmi a 360 gradi.