“Ho il timore che poco di quello che si ascolta oggi resterà. Potrà interessare il momento attuale, ma non avrà la capacità di diventare un classico. Molto del rap e anche del trap non resterà, perché è legato veramente ad un momento particolare, e la vita cambia continuamente. Lo dico anche con dispiacere, perché si perderà la memoria di un momento”. Parola di Claudio Baglioni che – a Verona per presentare gli otto concerti evento di ‘ATuttoCuore -plus ultra’, in programma dal 19 al 28 settembre all’Arena – si racconta ai giornalisti, anche alla luce del suo addio alle scene annunciato nel 2026. A partire da Sanremo. “Rifarlo? Già non lo volevo fare il primo anno…”, scherza.
Il cantautore romano, che ha ricevuto l’iscrizione all’ordine degli Architetti di Verona per il suo legame con l’Arena (dove nel 2018 portò il palco al centro), si esibirà nel celebre teatro per l’ultima volta per otto date escludendo al momento un ritorno. “Inimmaginabile al momento, perché è un evento unico”, assicura Baglioni. In effetti, le otto serate, che arrivano dopo il tour trionfale ‘Atuttocuore’ in giro per l’Italia, hanno tutta l’aria di esserlo. “Ci saranno alcuni potenziamenti rispetto al tour in termini di schermi e corpi luce, avremo circa seicento costumi, 40 brani scelti tra quelli che ho scritto che sono quasi 350, e sul palco saremo 101 più me”. E poi 21 polistrumentisti, 80 performer, 3D e un coro ispirato alla tragedia greca.
Difficile immaginare un Baglioni non più sul palco, ma intervistandolo si scopre che il “dopo” per lui è ricco di idee e progetti. “Mi piacerebbe dedicarmi alla musica, studiare ancora di più quello che mi è mancato studiare, la dottrina musicale, i temi dell’armonia della musica”, spiega Baglioni. “E poi mi piacerebbe tentare qualcosa dal punto di vista musicale che abbia una dimensione maggiore e diversa”.
Una sorta di “teatro totale”, descrive Baglioni. Nel suo futuro non c’è l’architettura (“non ne ho il talento”, si schernisce) e neanche il cinema. “Conto al mio attivo la partecipazione a un solo film, si intitolava ‘Ipotesi sulla scomparsa di un fisico atomico’, sul caso Majorana. Solo che mi fecero un provino, capirono le mie doti e ho interpretato un hippie che cantava una canzone”. Scrivere colonne sonore, però, Baglioni non lo esclude. “Mi piacerebbe scrivere musica di commento, anche se sono musiche molto più di sottolineatura”. Uno dei (pochi) rimpianti viene fuori: “Ho cantato in tutti i teatri lirici italiani tranne alla Scala di Milano. Sono in grandissima compagnia, tolto Paolo Conte e Keith Jarrett nessuna rappresentazione vi è entrata, forse anche giustamente perché è un tempio sacro. La voglia di cantare lì c’è, sfido chiunque”, ammette Baglioni. “L’ultima volta stavamo per riuscirci, poi ho detto io di no, perché a volte le polemiche superano la volontà di fare le cose”.
Per il futuro “arrivano proposte di direzioni artistiche, consulenze, ma bisogna averne le capacità. Questo è il paese dei tanti ruoli, c’è tanto fumo e poco arrosto”, ironizza l’artista. Intanto però, il 2026 è ancora lontano. E dopo le otto date all’Arena lo aspetta un tour nei teatri, e con tutta probabilità un disco. Anche se lui, col sorriso, frena. “Un disco? Forse non avevo tenuto conto delle cose che volevo ancora fare”. Insomma, di sicuro Baglioni non scomparirà dalla scena. “Un addio? Parlerei di percorso -dice- Mi sono dato un percorso e ho avuto bisogno di confini. Di dare io il tempo prima che il tempo lo desse a me. Più che un addio, è un percorso di chiusura”.