“Acerbi rompe il silenzio sulle accuse di razzismo”

“Acerbi rompe il silenzio sulle accuse di razzismo”

Acerbi rompe il silenzio e rivela la sua versione del controverso caso di “presunto razzismo” al Corriere della Sera. Esprime profonda tristezza e dispiacere, addirittura si sente una vittima e accusa di essere stato discriminato. Questo avviene dopo la sua squalifica, dopo le dichiarazioni di Juan Jesus, dopo le reazioni di Abodi, Gravina e Casini. Il difensore dell’Inter, accusato da Juan Jesus di averlo insultato con commenti razzisti, fa un parallelo tra questa situazione e la sua esperienza con il cancro, confrontando i sentimenti suscitati. Descrive il sollievo provato dagli altri intorno a lui come se avesse appena lasciato il carcere dopo dieci anni, contenti di essere usciti da una situazione difficile.

“Vorrei condividere il mio punto di vista, senza avere assolutamente nulla contro Juan Jesus, anzi provo dispiacere per lui. Non si può tuttavia accusare qualcuno di razzismo per una parola mal interpretata durante la tensione del gioco. E non è giusto continuare a farlo anche dopo essere stato assolto. Nonostante la liberazione, resto triste per l’intera situazione, per come si è risolta sul campo, per come tutti ne hanno tratto vantaggio senza conoscere la verità. Anche dopo essere stato assolto, ho percepito un’accanimento immenso, come se avessi commesso un omicidio”.

“IL RAZZISMO È UNA QUESTIONE SERIA” Acerbi ribadisce che si tratta di un malinteso: “Questa non è una lotta contro il razzismo, non c’è stata alcuna manifestazione di razzismo in campo e io non sono una persona razzista: il mio idolo era George Weah e quando ho ricevuto la notizia del mio tumore, ho ricevuto una telefonata a sorpresa da parte sua che mi ha emozionato ancora oggi. Qui si sta solo umiliando una persona, massacrando e minacciando la sua famiglia, ma per quale motivo? Per qualcosa che è rimasto sul campo e che non ha nulla a che fare col razzismo. Il razzismo, purtroppo, è una questione seria, non un insulto presunto. In campo si sentono molte cose, anche se ci sono quaranta telecamere. Se gli arbitri dovessero annotare tutto ciò che sentono, dovrebbero portarsi dietro una valigia. Ma tutto rimane lì, altrimenti sarebbe tutto condannabile, anche gli insulti ai serbi, agli italiani, alle madri”.

“Se uno sbaglia, deve pagare, come ho pagato io la multa quando ho mostrato il dito medio ai tifosi della Roma che mi urlavano ‘devi morire’. Migliaia di persone lo gridavano contro di me, un uomo che ha superato il tumore due volte e che è un testimone per l’AIRC”. Poi parla della malattia: “Non c’è confronto, quella è stata una passeggiata in confronto, non ho avuto paura. Ma l’immensa persecuzione che ho subito in questi giorni mi ha ferito profondamente. Ho fatto tanto per sbarazzarmi dell’etichetta che mi hanno dato da giovane e diventare un esempio di costanza e professionalità, e ho rischiato di perdere tutto in un istante”.

Acerbi ha temuto di aver chiuso con il calcio: “Se ti danno dieci giornate e ti dipingono come razzista, cosa fai? Poteva succedere qualsiasi cosa: sarei stato distrutto non solo come calciatore, cosa che mi interessa solo fino a un certo punto, ma anche come uomo. Tutti avevano già emesso la sentenza prima ancora che uscisse. E per molti sono ancora considerato razzista: sinceramente, non lo accetto. Le condanne mediatiche non vanno bene e soprattutto non risolvono il problema del razzismo, che sicuramente esiste. Non voglio minimizzarlo minimamente: voglio che sia chiaro”.

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