Kaze: «Volevo essere come le altre»

Kaze: «Volevo essere come le altre»

Quando ciò che hai aspettato tanto sta per arrivare, la prima reazione potrebbe essere quella di avere paura. Kaze, il nome d’arte di Paola Gioia Kaze Formisano, si prepara per i suoi debutti più importanti cercando di esorcizzare questa paura, facendo liste e liste. “Scrivo tutto”, racconta. “Le cose che devo fare, quelle da non perdere, persino quelle che ho già fatto. Ed è anche una scusa per giocare un po’ con i pennarelli, ne vado pazza”. A ventisette anni, figlia di una mamma africana e di un papà napoletano, cresciuta tra il Burundi e Terracina, si appresta a pubblicare il suo primo album, “Post buio”, il 12 aprile, e a tornare sullo schermo nella seconda stagione di “Call My Agent” dal 22 marzo.

Interpreta Sofia, la receptionist dell’agenzia che tenta la strada della recitazione.

Le riesce?

“In questa seconda stagione Sofia cresce sotto tutti i punti di vista, nella carriera e anche nel rapporto con Gabriele (l’agente interpretato da Maurizio Lastrico) Si emancipa, e io mi sono riconosciuta molto in lei. Anch’io, in alcuni momenti della mia vita, ho dovuto per forza crescere, fare delle scelte”.

Una scelta che rifarebbe?

“Quando mi sono licenziata dal mio lavoro di infermiera. È stata una decisione presa senza rimuginare troppo, nonostante la follia di lasciare un posto fisso a tempo indeterminato dopo tutti i sacrifici fatti. Nonostante la musica sia la mia passione da sempre, la sliding door della mia vita è stata un provino da attrice. Nel 2020 sono stata presa per la serie ‘Anni da cane’ e ho deciso di lasciare tutto. È stata l’ingenuità a portarmi qui. In seguito ho dovuto affrontarne le conseguenze, ma se non l’avessi fatto non sarei qui. Sofia in questa stagione ha un po’ di questa follia, ossia prende una decisione per cui non sa dove andare, fidandosi solo di ciò che desidera diventare”.

Fare l’infermiera è stato il suo piano B?

“Volevo fare il medico, ma non sono entrata a Medicina. Ho detto: faccio un anno di Infermieristica e poi cambio. Non ci ho, però, più provato. Il lavoro di infermiera mi ha subito colpito, ho scoperto di avere l’empatia giusta. È una professione che purtroppo passa spesso in secondo piano, ma sono gli infermieri che possono cambiare il decorso della degenza di un paziente. Devo dire che ho iniziato subito col botto: uno dei miei primi incarichi è stato in un reparto Covid, in Lombardia”.

Che ricordo ha di quel periodo?

Vado ancora in terapia per riuscire a metabolizzarlo. Ci sono tante cose che ho vissuto, che mi hanno segnato e che come prima reazione ho provato a cancellare. I morti, la paura, l’incertezza, è stato tutto molto distruttivo a livello fisico ed emotivo. Mi dispiace, però, che l’attenzione verso i professionisti del settore sanitario sia subito scemata. Abbiamo smesso presto di chiamarli eroi”.

Lei è nata a Nairobi, ma è cresciuta in Burundi. Qual è la sua storia?

“Mia madre è burundese, in Kenya è andata solo a partorire. A far incontrare i miei genitori, invece, è stato il caso o forse il destino. Mio padre, che oggi non c’è più, era un commerciante di tessuti, li esportava anche in Africa. E ogni mattina faceva la stessa strada che mia madre percorreva per andare all’università. L’ha corteggiata a lungo, in modo molto delicato, dopo diversi anni siamo nate io e mia sorella. Quando avevo 11 anni, ci siamo trasferiti tutti in Italia”.

Che ricordi ha della sua infanzia?

“Molto belli, felici. Sono cresciuta circondata da colori accesi. Io e mia sorella giocavamo scalze tutto il giorno, e in giardino avevamo un bellissimo albero di maracuja. Ancora oggi mi manca la sensazione dell’erba sfiorata dai piedi nudi. Non avevamo distrazioni, ci inventavamo i giochi, in casa mia madre cantava tutto il giorno, la mia passione per la musica arriva da lì. Il mio secondo nome è Gioia, quello di mia sorella è Grazia. I miei si amavano moltissimo, insieme eravamo splendidi”.

Raggiungere Terracina è stato traumatico?

Sì, è stato molto traumatico, ma fortunatamente ho avuto la possibilità di vedere per la prima volta il mare. Ancora oggi, è la cosa che amo di più al mondo. Tuttavia, avevo un’idea distorta dell’Europa, influenzata dai telefilm americani. Immaginavo i licei con gli armadietti, ma invece mi sono ritrovata a scuola dalle suore. Fin dall’inizio, ho lottato molto perché volevo essere come gli altri. Volevo imparare l’italiano istantaneamente e far parte del gruppo, ma mi sentivo sempre diversa dagli altri. Ho lottato per anni per cercare di adattarmi a qualcosa di molto diverso da me, sopprimendo tutto ciò che mi rendeva unica.

Cosa odiava di più?

Odiavo i miei capelli. Sognavo di averli lisci e ho provato qualsiasi cosa per ottenere quel risultato. Ho fatto decine di trattamenti dannosi per renderli lisci, seguendo modelli di bellezza sbagliati. Volevo assomigliare alle modelle con gli occhi azzurri e la figura longilinea, anche se sapevo che essendo africana era un obiettivo irraggiungibile. Ho lottato contro la mia conformazione corporea e ho comprato solo vestiti di taglie più piccole per cercare di dimagrire. Ho vissuto anni molto dolorosi cercando di adattarmi a uno standard di bellezza irrealistico.

Qual era il suo prototipo di bellezza?

Guardavo solo le foto delle modelle con gli occhi azzurri e una figura longilinea, quasi senza curve. Volevo disperatamente assomigliare a loro, anche se sapevo che fisicamente non avrei mai potuto. Ho cercato di cambiare me stessa, stirando i capelli e seguendo diete estreme, solo per adattarmi a un’immagine idealizzata di bellezza che non corrispondeva alla mia vera identità.

È stato difficile anche il rapporto con gli altri?

Sì, è stato difficile, ma mi considero fortunata rispetto a molti altri ragazzi. Ho subito discriminazioni soprattutto dopo la scomparsa di mio padre, quando mia madre è rimasta da sola. Ho visto la sua lotta per reinserirsi nella società e combattere gli stereotipi legati alla donna straniera sola. In alcuni luoghi, la figura della donna accanto a un uomo è ancora considerata diversamente. In risposta a questo, ho deciso di lasciare la provincia non appena ho preso il diploma, trasferendomi prima a Roma per l’università e poi a Milano. Ho sentito il bisogno di sfuggire da un ambiente così limitante.

A Roma è andata meglio?

Il periodo a Roma è stato molto difficile, ma mi ha permesso di scoprire una forza interiore che non sapevo di avere. Nonostante le difficoltà economiche, sono riuscita a frequentare l’università grazie a una borsa di studio, anche se ho dovuto lavorare contemporaneamente in tre lavori diversi. Nonostante tutto, è stato il periodo migliore dal punto di vista accademico, poiché ero molto motivata a laurearmi. Ho trovato sostegno negli amici che condividevano le mie stesse difficoltà.

Pensa che oggi l’Italia sia un Paese razzista?

Non mi piace generalizzare, ma ho subito il razzismo derivante dalla mancanza di conoscenza e dall’ignoranza. Ho spesso sentito dire che ero diversa dagli altri stranieri perché educata e istruita, come se dovessi essere salvata dagli stereotipi negativi. Tuttavia, c’è molta ipocrisia riguardo al razzismo in Italia, con molte persone che rifiutano di ammettere che sia un problema.

Un esempio?

Recentemente, durante una serata al karaoke, ho incontrato un ragazzo che usava termini razzisti dicendo che non lo faceva con cattiveria. Questo mi ha infastidito molto, poiché certe parole non possono essere accettate, e il cambiamento deve partire proprio da questo. Trovo preferibile un razzismo esplicito che almeno permette di avviare un dialogo, piuttosto che un’omertà che nega l’esistenza del problema.

Nel mondo del cinema, pensa che oggi la diversità sia rispettata?

Anche se ci sono ancora ruoli stereotipati nel cinema, penso che ci sia una maggiore attenzione alla diversità. Tuttavia, c’è sempre il dubbio se vengo scelta per il mio talento o solo perché sono considerata un “elemento di diversità”. Inizialmente, la diversità nel cinema potrebbe essere stata forzata, ma ha comunque permesso l’emergere di molti talenti.

Le è capitato di rifiutare un ruolo perché percepito come stereotipato?

Sì, ho lottato con me stessa per rifiutare ruoli che non erano in linea con la mia persona, anche se era difficile quando dovevo pagare l’affitto.

Se dovesse scegliere tra il mondo della musica e del cinema?

Preferisco il mondo della musica perché è sempre stato il mio sogno, anche se amo recitare. Credo che il mondo della musica mi permetta di essere più autentica, mentre recitare richiede di prestare se stessi a un personaggio.

Che cosa ha messo nel suo primo album, “Post buio”?

“Post buio” rappresenta il momento in cui il peggio è passato ma non c’è ancora la luce. Ho voluto mettere nel disco tutte le esperienze oscure che ho vissuto, usando ogni canzone come una sorta di catarsi. Credo che l’empatia sia il dono più prezioso che ho ottenuto dal dolore.

Cosa le manca e cosa non vuole più rivedere?

Mi manca molto il Burundi e andare al mare a Terracina. Tuttavia, mi spaventa molto ricordare il mio liceo e i luoghi legati alla perdita di mio padre.

La parola “casa” le piace oggi?

Trovo difficile identificare un luogo che possa definire “casa” al momento. La mia prima dimora è così lontana che ha perso quel senso di appartenenza, mentre il luogo dove mi trovo attualmente è solo un punto di sosta temporaneo. Penso che un giorno potrò arrivare a pace con questa parola, ma per ora ho accettato che “casa” può assumere molte forme: un palco, un disco, un set cinematografico, un pranzo con persone care o semplicemente le braccia della mia madre. Ho imparato a non attribuire troppo peso a questa parola. Per me, mia sorella è casa, ovunque si trovi.

Quanto alla mia felicità, non credo nel concetto tradizionale di felicità, che trovo difficile da raggiungere. Tuttavia, so che mi sento felice quando sono in pace con me stessa e con il mondo che mi circonda.

Nell’ambito sentimentale, ammetto di essere stata un po’ un disastro. Sebbene abbia sempre avuto un’anima romantica, con il tempo ho dovuto confrontarmi con la realtà. Parte della colpa è mia, poiché tendevo a sottovalutarmi e accettare ciò che pensavo di meritare, anche se ora rabbrividisco al solo pensarci. Aumentare la mia autostima in ambito amoroso è stato un processo complesso, ma ora sono più chiara e decisa. Negli ultimi anni ho dichiarato apertamente il mio amore per il mio lavoro, mettendolo sempre al primo posto. Non rinuncerei mai alla mia carriera per amore. Ora che ho un maggiore rispetto per me stessa, trovo più facile trovare persone che mi rispettino veramente. Sono pronta per quello che verrà.

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