Martin Scorsese al lavoro su un nuovo film… dedicato a Gesù: “Non per fare proseliti”

Martin Scorsese al lavoro su un nuovo film… dedicato a Gesù: “Non per fare proseliti”

Martin Scorsese è al lavoro sul nuovo film, che sarà dedicato a Gesù. Lo ha annunciato l’81enne regista italo-americano in una intervista al Los Angeles Times, spiegando che la pellicola ha l’obiettivo di “eliminare la negatività associata con la religione organizzata”, ma “non per fare proseliti”. Si tratterà questa volta di un film breve, soltanto 80 minuti, non le tre ore e passa delle ultime creazioni-fiume del regista tra cui l’ultimo “Killers of the Flower Moon” e “The Irishman”.

Lo spunto, come ha spiegato lo stesso Scorsese al quotidiano, è stata l’udienza in Vaticano con Papa Francesco dopo il debutto del film con Leonardo DiCaprio a Cannes: “Ho risposto all’appello del Papa al mondo dell’arte nell’unico modo che conosco: immaginando e scrivendo un copione per un film su Gesù”, aveva detto all’epoca il regista alla rivista gesuita La Civiltà Cattolica. Scorsese ha scritto la sceneggiatura con l’aiuto del critico e cineasta Kent Jones.

Le riprese dovrebbero cominciare nel corso dell’anno. “Stiamo ancora nuotando nell’ispirazione”, ha detto il regista, spiegando che il punto di partenza è stato il libro “Una Vita di Gesù” di Shusaku Endo, l’autore di “Silenzio” del 1966 sui missionari gesuiti in Giappone che lo stesso Scorsese ha trasposto per il grande schermo.

Di cosa parlerà il film

La trama sarà ambientata quasi tutta nel presente, anche se Scorsese non vuole costringersi in un particolare momento: il film dovrà essere senza tempo. Gli 80 minuti saranno dedicati alla predicazione di Gesù “per esplorarne i principi”, non per fare proseliti. “In questo momento la parola religione crea indignazione perché per molti versi la religione ha fallito. Questo non significa che l’impulso iniziale fosse sbagliato”, ha detto Scorsese.

Scorsese e i film religiosi

Pur essendo noto per film violenti o ambientati nel mondo dei gangster come “Taxi Driver”, “Mean Street” e “Goodfellas”, Scorsese ha anche alle spalle una serie di film con temi apertamente religiosi e altri, come “Gangs of New York” in cui concetti come quello della redenzione sottendono la trama. Nel 1988 il suo adattamento di “L’Ultima Tentazione di Cristo” di Nikos Kazantzakis (l’autore di Zorba il Greco) creò polemiche mondiali perché il Gesù pieno di dubbi fu giudicato blasfemo dai gruppi cattolici più integralisti (ma non dalla magistratura veneziana che autorizzo’ la proiezione fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia). Nove anni dopo, Scorsese aveva poi dedicato “Kundun” alla vita del Dalai Lama. Più di recente, “Silenzio” del 2016 con Andrew Garfield, Adam Driver e Liam Neeson aveva avuto al centro le difficoltà dei gesuiti giapponesi perseguitati per la loro religione nel Giappone del 17esimo secolo. L’impegno sulla Vita di Gesù sembra aver messo in naftalina un altro progetto di Scorsese recentemente annunciato: l’adattamento di un saggio di David Grann, l’autore del libro da cui è stato tratto “Killers of the Flower Moon”, sul cosiddetto Ammutinamento del Wager del 1741. Domenica scorsa intanto “Killers of the Flower Moon” ha raccolto il suo primo premio nella strada verso gli Oscar: Lily Gladstone, la protagonista, ha vinto il Golden Globe per la migliore attrice.

Le origini nella Little Italy e una carriera da big di Hollywood

Martin Scorsese è nato “Scozzese” da genitori e nonni palermitani emigrati nel Queens, ma registrato con un errore all’anagrafe il 17 novembre del 1942. E’ stato candidato 14 volte all’Oscar, vincitore solo per “The Departed” nel 2007, Leone d’oro alla carriera nel 1995, è figlio di quella Little Italy in cui la famiglia si dovette trasferire per sfratto quando Martin non era ancora adolescente.

Piccolo di statura, timido, cagionevole di salute per i frequenti attacchi d’asma, non riesce a farsi spazio tra le gang giovanili che infestano il quartiere e trascorre le giornate solitario tra la chiesa – vagheggiando il sogno di farsi prete – e il cinema che è la sua passione fin da bambino. Troppo povero per comprarsi una cinepresa (il padre lavora in una lavanderia, la madre arrotonda cucendo vestiti) scopre in tv i classici del neorealismo, si appassiona ai film western di John Ford, divora libri di cinema. Quando scoprirà anche la Nouvelle Vague francese, capendo che si può filmare la vita con pochi mezzi e tanta inventiva, la sua futura carriera è tracciata. Grazie a una borsa di studio dell’Università mette mano al suo primo progetto, gira qualche cortometraggio, debutta nel 1969 dopo quattro anni di lavoro con “Chi sta bussando alla mia porta”, girato in 16 mm e interpretato dall’amico Harvey Keitel. Insieme a lui due compagne di strada che non lo lasceranno più: la produttrice Barbara De Fina e la montatrice Thelma Schoonmaker.

L’anno dopo dirige il set de “I killer della luna di miele”, ma dopo una settimana viene rimpiazzato da Leonard Kastle, autore della sceneggiatura e pensa che la sua carriera finisca lì. Trova invece un mentore d’eccezione lontano da casa, a Los Angeles, dove il produttore indipendente Roger Corman lo ammette nella sua factory e gli affida la regia di “America 1929: sterminateli senza pietà” (1972). Una gangster story girata come con stile crudo ed efficace ha successo e Corman vorrebbe proseguire con lui. Scorsese invece investe tutto il suo compenso per girare a New York il film che lo renderà celebre: “Mean Streets” (1973), ancora con Harvey Keitel e un giovane sconosciuto che gli ha presentato Brian de Palma, Robert De Niro. Seguirà il primo trionfo internazionale, “Taxi Driver” (Palma d’oro a Cannes e quattro nominations nel 1976).

In mezzo c’è spazio per un ritratto al femminile, “Alice non abita più qui” con Ellen Burstyn che vince l’Oscar, e il bellissimo documentario “Italoamericani” in cui intervista i suoi genitori. L’incubo violento in cui sprofonda il taxista De Niro in una New York che porta i segni del ribellismo e della guerra del Vietnam porteranno Scorsese a dedicare alla sua città il successivo affresco “New York New York”, all’epoca segnato da un tonfo commerciale e oggi considerato fra i suoi migliori risultati, così come il film-concerto “L’ultimo Valzer” con gli amici di The Band e Bob Dylan, (1978).

Da questa doppia incursione nella sua altra, grande passione – la musica – Scorsese esce a pezzi, ferito dalle critiche e scansato dai produttori. Seguono anni di profonda depressione nonostante la storia d’amore con Isabella Rossellini, eccessi nell’uso di stupefacenti, desideri di abbandono. Lo salverà De Niro (a oggi hanno lavorato insieme 9 volte) proponendogli il copione di “Toro scatenato” (1980). Girato per scelta artistica in bianco e nero, il film sarà uno spettacolare successo di pubblico e di critica, considerato anche oggi il capolavoro del regista insieme a “Quei bravi ragazzi” del 1990.

Per i 20 anni successivi, pur tra scandali (“L’ultima tentazione di Cristo”, “Gangs of New York”), fallimenti (“The Aviator”), successi (“The Departed” e “The Wolf of Wall Street” che segnano il suo sodalizio con Leonardo DiCaprio), ardite sperimentazioni (“Hugo Cabret” in 3D), il suo è il percorso di un maestro indiscusso, capace di mettersi in discussione ogni volta.

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