E’ uscito “Fast Animals and Slow Kids – Dal vivo con orchestra” l’album live della band perugina affiancata in questo caso dai trenta elementi dell’Orchestra Arcangelo Corelli diretta dal Maestro Carmelo Emanuele Patti.
Un album registrato in occasione di un concerto a Ravenna il 22 luglio di quest’anno e che rappresenta il punto di arrivo dell’esplorazione di nuove sonorità orchestrali per i brani che hanno segnato i quindici anni di storia della band. “Suonare le canzoni che hanno segnato la nostra storia insieme a un’orchestra di trenta elementi è stata una delle esperienze più stimolanti e appaganti della nostra carriera. E d’ora in poi la nostra musica non sarà più la stessa”.
Dopo il successo del tour nei teatri della scorsa primavera, accompagnati da una piccola orchestra da camera di sei elementi, i Fast Animals and Slow Kids hanno voluto immergersi ancora di più nelle atmosfere uniche di un’orchestra. E l’occasione era talmente speciale che non immortalarla sarebbe stato un delitto… “Infatti è stato abbastanza traumatico perché sapevamo che l’avremmo registrato – spiega il cantante del gruppo Aimone Romizi -. Quindi come concerto in realtà noi eravamo lì un po’ impauriti, c’era il timore di cantare o suonare male, di sbagliare qualcosa. In realtà poi dopo il concerto ti salva sempre perché a un certo punto non pensi più a niente e stai suonando. Però io mi ricordo poco bene di quando sono salito sul pacco e ho detto oddio adesso qualsiasi scemenza dirò sarà registrata per sempre negli annali”.
A parte questa sensazione siamo molto soddisfatti e felici del risultato. È stato un lavoro duro, molto duro. La difficoltà era quella di trovare una sintesi tra mondi musicali apparentemente distanti. Però quando fai qualcosa di nuovo c’è sempre quella vibrazione che ti rende vivo.
Come avete risolto la sfida di fondere due mondi musicali diversi?
Come si risolvono le cose sempre in musica, suonando, suonando tanto. Siamo partiti dallo scarnificare le nostre canzoni, quindi a renderle acustiche cercando di lasciare più spazio possibile a un’ipotetica orchestra. Quindi successivamente è arrivato Carmelo Patti e abbiamo lavorato con lui. E’ stato un processo progressivo fino a quando abbiamo trovato più o meno una quadra da un punto di vista proprio di idea di composizione. E poi da lì è arrivata la parte del provare le parti con tutti gli altri che nel frattempo studiavano le partiture. Quindi insomma, è stato un lavoro a più stadi che sottende uno studio.
Tra l’altro voi venivate da un tour teatrale dove invece eravate affiancati da una piccola orchestra
C’era proprio un altro tipo di universo sonoro, è stato un po’ l’inizio del percorso. Per la prima volta abbiamo cominciato a confrontarci con questo tipo di strumenti, che devono sentirsi, devono intonarsi, hanno delle dinamiche completamente diverse e quindi siamo arrivati già preparati su alcuni aspetti. Noi suoniamo il rock and roll, quindi tendenzialmente siamo abituati a suonare con una dinamica che va dal forte al fortissimo. Nel momento in cui ti rapporti con persone che invece espandono ancora di più quel senso dinamico, devi trovare la sintesi giusta, devi trovare l’accordo. E da questo punto di vista credo che sia forse questo l’aspetto che ci è rimasto di più da tutte queste esperienze. Adesso sappiamo che possiamo muoverci con delle dinamiche ancora più profonde, ancora più studiate, ancora più ampie.
Cosa ti ha lasciato in prospettiva questa esperienza, come pensate che da qui in avanti possa cambiare la vostra musica facendo tesoro di quello che avete fatto in questo progetto?
Sicuramente ci sono questi aspetti tecnici, ma c’è anche un punto di vista di pensiero. Se vogliamo fare un arrangiamento un pochino più ardito di un pezzo, se vogliamo immaginarci delle linee differenti o se addirittura vogliamo suonare un po’ meno perché in prospettiva possiamo riempirlo con altre timbriche, beh, ora è qualcosa che sappiamo padroneggiare. E queste prese di coscienza, seppur magari sono inconsce in qualche modo si tramutano in una musica che cambia con noi.
Cosa ha fatto scoccare la scintilla? Come è nata proprio l’idea iniziale di essere affiancati da un piccolo ensemble da camera, che quindi è una cosa forse ancora più distante dal vostro mondo musicale?
In realtà questo era un desiderio che avevamo da tantissimo tempo, forse sin dall’inizio. Forse la vera scintilla è scoccata al tempo di “Alaska”. In quel tour provammo a inserire due archi, il violino e la viola, all’interno di un nostro live. Non andò bene perché i due ragazzi che vennero a provare con noi veramente non riuscivano a suonare e intonarsi per colpa nostra, perché i nostri volumi erano devastanti. Ma qualcosa dentro di noi è rimasto. Secondo me per qualsiasi musicista confrontarsi con altri musicisti, confrontarsi con un’orchestra, è una delle cose che hai latente nel cervello.
Nel mondo del pop e del rock, soprattutto qualche anno fa, l’album con l’orchestra era qualcosa al quale spesso si arrivava. C’è qualche lavoro al quale siete particolarmente affezionati?
In realtà no. Il disco dei Metallica con l’orchestra ha delle parti interessanti, ci è piaciuto molto l’album dei Wheezer uscito nel periodo del lockdown. Però secondo me il nostro modo di affrontare questo progetto è molto personale. Nel nostro arrangiamento c’è una bella crasi tra un concerto rock e un concerto in acustico e abbiamo sviluppato degli arrangiamenti acustici per l’orchestra, mantenendo però quell’attitudine un po’ più punkish, un po’ più ruvida che è tipica della nostra band. Qui manca totalmente la sensazione del trionfo, dell’autocelebrazione, che in altri progetti analoghi si coglie.
State già scrivendo qualcosa per un prossimo album?
Sempre! La risposta è sempre e continuamente e con dolore direi. Non ci si ferma mai, considera che poi noi siamo anche abbastanza matti in questa roba qui, finisce, appena esce un disco noi entro un mese e dobbiamo scrivere un pezzo nuovo, perché se no, voglio dire, siamo morti, siamo finiti, è finita la musica. Quindi poi magari quel pezzo non entra mai nel disco, perché è una ciofeca terrificante, però lo facciamo. Anche perché, tra l’altro… C’è anche la questione temporale, noi ci alziamo e pensiamo la musica, quindi a un certo punto qualcosa viene fuori, non è necessario.