Mick Jagger, i segreti dei suoi 80 anni nelle sue canzoni

Mick Jagger, i segreti dei suoi 80 anni nelle sue canzoni

Sir Michael Philip compie ottanta anni, sessanta dei quali vissuti su un palco dal quale ancora non è ufficialmente sceso…

“What a drag it is, getting old”. Che disgrazia, diventare vecchi. Era il 1966, era una canzoncina del periodo un po’ più poppettaro, “Mother’s Little Helper”, e il sardonico 23enne Mick Jagger si divertiva a sfottere la generazione del gradino sopra, i genitori, le madri stressate dai figli e che avevano bisogno di qualcosa per calmarsi. Una pillola, due pillole, quattro pillole ed ecco che anche i rigorosi adulti finivano per farsi, esattamente come i figli, in particolare uno che già all’epoca aveva qualche problemino di coscienza. E invece non è stata una disgrazia – anzi – diventare vecchi, per Sir Michael Philip. Ottanta anni e non sentirli, sessanta vissuti su un palco dal quale ancora non è ufficialmente sceso. Anzi. “A 33 anni potrei smettere, sai? Non voglio essere un cantante di rock’n’roll tutta la vita. Penso che quella sia l’età in cui uno deve fare qualcosa di diverso”, disse in un’intervista all’inizio degli anni ’70. Il limite, per capirci, era stato posto al 1976. Come non detto. Un’altra volta dichiarò che “preferiva morire piuttosto che cantare Satisfaction a 45 anni”. La timeline si era spostata al 1988, dunque. Ed effettivamente non la cantò, perché i Rolling Stones erano temporaneamente separati.

Però dai 46 in poi, quando ha fatto pace con Keith Richards e la band si è rimessa in moto, non ha più smesso. L’abbiamo sentita pure l’anno scorso, a chiudere lo show di San Siro condotto sempre alla sua maniera, giusto un filino al rallentatore. Gli anni, nel frattempo, erano diventati 79 e Mick si è vantato pubblicamente che la taglia dei suoi pantaloni è la stessa dei tempi in cui le ragazzine urlavano e i ragazzi sfasciavano tutto nei teatri in cui si esibivano. 

Più che le sparate rimaste fine a sé stesse, dunque, è meglio cercare di interpretare da certe canzoni snocciolate lungo l’infinito percorso qual è stato il feeling del Ragazzo senza tempo nei confronti del tempo che invece passava, eccome. Guarda caso, le sue considerazioni sono spesso nascoste nei pezzi cosiddetti “da album” oppure contenute – non casualmente – nei dischi solisti, dove ha potuto lasciare un po’ da parte qualche obbligo determinato dalla targa Stones e magari, se gli girava, parlare di sensazioni più personali o addirittura introspettive (senza esagerare, eh? Non è soggetto molto portato a spalancarsi). Per esempio nel suo terzo lavoro in proprio, “Wandering Spirit”, c’è una (bellissima) ballata al sapore country chiamata “Evening Gown”, l’abito da sera, in cui spiega a una immaginaria Lady e a tutto il mondo che lui è “ancora capace di pitturare tutta la città/con i colori del tuo abito da sera/mentre aspetto che i tuoi capelli biondi diventino grigi”. Era il periodo dei 50, e insomma, mica male come dichiarazione di guerra ai calendari e a chi già era partito per commentini ironici sul rocker un po’ agé. Fa sorridere pensare che poco più che 30enne, invece, tra i solchi dell’arcinoto “It’s Only Rock’n’Roll”, delle rughe aveva una gran paura e si lamentò appoggiandosi alla chitarra di Mick Taylor che il “tempo può demolire un palazzo/o distruggere il volto di una donna/le ore sono come un diamante/non lasciare che si sprechino/il tempo non aspetta nessuno/non fa favori/non aspetta nessuno/e non aspetterà me”. Time Waits for No One. Ma non è andata così, e al di là della Dea Fortuna, molto ha fatto lui per meritarsi i benefici del destino. La paura del 1974 l’ha sconfitta con le azioni. Scappa un sospiro quando qualcuno dice o scrive – anche in questi giorni – quanto sia straordinario che queste siano le condizioni di un 80enne così dedito agli eccessi. Eccessi che non hanno mai avuto la maggioranza assoluta, nel Parlamento interno di Jagger, e che sono stati cancellati e banditi almeno negli ultimi 35-40 anni, quando l’età ormai matura e soprattutto la responsabilità di una macchina da milioni di dollari chiamata Rolling Stones in Tour ha suggerito di fare le cose per benino. Spiace per gli stereotipi, ma tutti noi comuni mortali, con qualche birra e qualche pietanza un po’ troppo unta, superiamo largamente gli “eccessi” del salutista Mick, che poi – giustamente – si vanta del suo giro vita. Certo, qualche vizio deve rimanere, da qualche parte. Specie quelle che si trovano dalle parti del cuore e, per carità, pure dentro i citati pantaloni. Old Habits Die Hard, “Le vecchie abitudini sono difficili a morire/e i vecchi soldati semplicemente svaniscono/sono difficili a morire/più dure della pioggia di novembre”, e anche qui, a livello temporale, siamo già al Jagger della “middle age”, che ha regalato quest’altro gioiellino del suo repertorio personale alla colonna sonora del film “Alfie” e a Jude Law, che interpretava il protagonista.  

Ma una cosa per cui l’Inossidabile di Dartford non è abbastanza ringraziato, è per i messaggi che – indirettamente, per carità – dà a tutti quelli che ne condividono l’anagrafe, o, ancora di più, quelli che la temono, e iniziano a vivere male già prima, e che pensano che nella migliore delle ipotesi sarà solo l’appendice a un’esistenza già vissuta. E non ci si riferisce solamente alla salute, alle intatte capacità fisiche. La fama, i soldi, “essere Mick Jagger”, sicuramente aiuta, sicuro: pur tuttavia, è innegabile che il guardare ancora e sempre avanti, mandare avanti la propria facoltosa ditta, buttarsi in cento e cento progetti è anche suggerire di esserci e di “continuare a camminare, dimenticare il passato, camminare e non guardare indietro”, come cantava in team con il compianto Peter Tosh durante la reggae wave di fine anni ’70. Ma soprattutto, regola numero uno, vietato lasciarsi risucchiare dai ricordi. “Too Far Gone”, da “Goddess in the Doorway”, 2001. “Ho sempre odiato la nostalgia/vivere nel passato/inutile avere gli occhi annebbiati/tutto urlava così in fretta/ed è ormai troppo lontano”. Se poi uno vuole continuare a menarla con la vecchia storia del patto col Diavolo, padronissimo. Sembra però che il patto in realtà sia stato con se stesso – a cui tiene tantissimo -, con la sua arte, con il suo ruolo e quindi con il suo pubblico. Morale, un patto con la vita, che lo ha ricambiato con dovizia. Perché ha saputo usarlo meravigliosamente bene, quel dono che si chiama Tempo.  

“Time is on my side, yes it is”.  E come faceva, a non esserlo. 

Torna in alto