Roberto Sergio, amministratore delegato della Rai, come mai la Rai al tempo del centrodestra nomina tanti vicedirettori in quota Pd e M5S nei telegiornali?
«Perché siamo un’azienda, mai come questa volta, equilibrata e pluralista. E le dico di più: abbiamo invertito le proporzioni di genere, con una presenza femminile di qualità che è del 60 per cento per quanto riguarda i vicedirettori».
Vi siete insediati da circa 60 giorni. Qual è il primo bilancio?
«Abbiamo trovato un’azienda demoralizzata, preoccupata, con uno sciopero imminente che siamo riusciti a revocare appena insediati. In 60 giorni, abbiamo ripreso in mano il contratto di servizio, il piano industriale, il piano di sostenibilità: erano tutti fermi. Dopo le nomine dei direttori, fatte in una logica di merito e di pluralismo nella seconda seduta del Cda, sono partiti i comitati editoriali che non si facevano dall’epoca di Campo Dall’Orto. E sono partite le riunioni di staff che significano questo: io da dipendente da 19 anni di questa azienda, dopo esperienze nel privato, ho fatto squadra e ho coinvolto i migliori colleghi della Rai perché c’erano da fare anche i palinsesti autunno-inverno 2023. In due mesi abbiamo attivato moltissime cose, più di quanto si sia fatto in passato».
E però, l’impressione di molti è che siete TeleMeloni.
«Guardi, io sono stato nominato dal consiglio dei ministri presieduto da Giorgia Meloni su indicazione del titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti. Se questo significa che il mio essere stato ed essere tuttora legato ai valori democratico-cristiani sparisce e il tutto viene soppiantato dall’etichetta TeleMeloni, evidentemente c’è qualcosa che non va in chi adotta questo approccio. Io non sono di parte, sono al servizio dell’azienda e del Paese perché mi ha nominato il governo, istituzione che rispetto profondamente. Premesso che le mie scelte sono sulla base della competenze e del merito, io non so e non voglio sapere per chi votano i direttori e i dirigenti di questa azienda. E nemmeno io so per chi voto, essendo un democratico-cristiano orfano dello Scudo Crociato sulla scheda».
Ma davvero sta dicendo che la Rai è una cosa e la politica è un’altra cosa?
«La Rai non può esimersi dal rapporto con la politica. E’ importante però che la politica non condizioni la Rai. A differenza di alcuni dei miei predecessori, che non incontravano la politica incontrandola, io la incontro ma non mi faccio condizionare nelle scelte aziendali».
Scusi, ma l’andata via di Fazio, Annunziata, Berlinguer, Gramellini non è un fatto politico?
«Non lo so. Ci sono tanti altri conduttori, artisti, giornalisti che sono legati alle stesse idee delle persone che lei ha citato e continuano a lavorare in Rai e molto bene. Fazio, mio amico da molti anni, è andato via prima che io arrivassi. Berlinguer, Annunziata e Gramellini erano tutti e tre, fino alla fine, nei nuovi palinsesti. Hanno fatto scelte personali che li hanno portati altrove».
Federica Sciarelli ha detto che se le pressioni politiche ci sono si può cercare di evitarle invece di andare via. E’ così?
«Ho trovato efficace e condivisibile quell’intervista. Io al posto dei professionisti che sono andati via avrei fatto come la Sciarelli e come gli amici di Report. Perché in Rai si lavora bene».
Chi ci sarà il martedì sera al posto della Berlinguer?
«Nunzia De Girolamo, in un nuovo progetto che è in fase di gestazione. De Girolamo tratterà alla sua maniera temi politici, sociali, culturali. Il programma partirà dai primi di ottobre, il nome ancora non c’è».
Non temete per la Rai così rinnovata cali di ascolto?
«La proposta editoriale che abbiamo preparato, la forza delle nostre fiction e dei programmi d’intrattenimento storico, le novità affidate a conduttori giovani e meno giovani ma tutti di valore mi fanno credere che sarà una stagione di successo».
Voi però avere smontato TeleKabul. Perché mai?
«Non so perché è stato dato a Rai3 il nome della capitale afghana. Oggi è una rete pluralista e che spazia sui temi più vari, senza caratterizzazione di parte».
Noi romani siamo un po’ preoccupati: davvero la Rai verrà ridimensionata nella Capitale?
«Voglio rassicurare tutti facendo notare che, nel piano industriale che stiamo varando, su Roma ci saranno importanti investimenti. Oltre a Roma naturalmente al centro del progetto aziendale ci sono Napoli, Torino, Milano e le sedi regionali. Su Roma, insieme agli investimenti e al rafforzamento della sua centralità, aumenterà l’occupazione dei giovani. Si va verso la digital media company e i giovani sanno maneggiare benissimo il linguaggio digitale. Mi sento di dire che la Rai apre la porte al lavoro dei giovani».
Con il dg Giampaolo Rossi i rapporti come sono?
«Straordinariamente buoni. Anzi, approfitto dell’occasione per smentire notizie false sulle nostre relazioni che vengono descritte come conflittuali. Nei nostri diversi ruoli, condividiamo tutto».
Non rappresenta un problema la Lega che vuole abolire il canone?
«Non lo vedo questo problema. L’azionista andrà in Vigilanza domani e mi auguro che si cominci a fare chiarezza sulle entrate della Rai. Confermando il canone in bolletta, che ha consentito il venir meno di una vergognosa evasione da parte di tanti».
Giletti arriva a gennaio?
«E’ tuttora sotto contratto con La7. Quando sarà disponibile sul mercato, valuteremo nel reciproco interesse».
La trasmissione di Fiorello si farà al Foro Italico?
«Non è da escludere ma non è l’unica soluzione. Comunque sarà Rosario, con un tweet o con un video sui social o con una battuta a comunicare la decisione».
Saviano che è previsto in onda tra novembre e dicembre è confermato?
«Saviano non è in palinsesto».
Quindi avete applicato anche a lui il codice Facci?
«Le ripeto: Saviano non è in palinsesto».
Occhio, Pd e M5S insorgeranno…
«La scelta è aziendale, non politica».
Impazzano però polemiche politiche sulle presunte censure a RaiNews. Ci sono state o no?
«Petrecca ha ben spiegato in Vigilanza le sue motivazioni. E nutro grandissima stima e fiducia nel direttore di RaiNews».
Marco Ajelllo, Il Messaggero