(di Tiziano Rapanà) Diamoci da fare. Studiare, studiare, studiare! Non è la solita retorica del ritorno tra i banchi, del rifinire la silhouette da eterni secchioni con la solita frasetta a corredo del tipo “non si finisce mai di imparare”. L’espressione è buona come stemma dello zerbino, da tenere fuori dalla porta di casa e possibilmente dall’esistenza. Per osmosi, tutto è formativo: è lapalissiano. Sennò è pure peggio della scoperta dell’acqua calda. Ma molti godono ad immaginarsi studenti della vita. “Ho tanto da imparare”, pensano. Ed è la protervia peggiore della mia, che è così lampante ed evidente. Ma almeno la mia non è cialtronesca: è vivace, vitale, amica (non mia, s’intende). Dobbiamo fare di più, dicevo. Secondo una recente indagine condotta dalla Banca d’Italia, l’alfabetizzazione finanziaria degli adulti nel nostro paese è migliorata leggermente dal 2020 al 2023, anche se rimane ancora a livelli bassi. Il miglioramento è legato ai comportamenti finanziari e agli atteggiamenti verso il denaro e il risparmio. Ma sulle conoscenze finanziarie non si batte chiodo. E mi ci metto in mezzo anch’io, sul tema sono il re dei ciuchi. Concetti come tasso di interesse e diversificazione del rischio hanno, per noi, quel vago e arduo sapore di austroungarico. E cioè: alziamo gli occhi al cielo con l’imprecisa traiettoria dettata dallo stupore per chiederci: “Che vor dì?”. Le cose cambiano riguardo l’inflazione e il suo impatto sul potere d’acquisto delle famiglie, ma la cosa è fin troppo facile perché si tocca la carne viva di ognuno di noi. La Rai deve correre ai ripari con una serie di trasmissioni di divulgazione sul tema. Dobbiamo saperne di più. La chiarezza dovrà essere la stella polare che determinerà l’architettura dei programmi. Io penso possa fare bene Roberto Sommella, direttore dell’eminente Milano Finanza. Il direttore sta facendo tanto in questo senso, ha proposto – a più riprese – lo studio dell’educazione finanziaria nelle scuole. Il servizio pubblico deve darci una mano, per capire di più.