(di Tiziano Rapanà) Il successo non è sempre un participio passato del verbo succedere, è anche il frutto di una buona semina. Così il lavoro porta risultato, mentre gli altri giocano sulla risulta. Ossia sul già dato, rimasticato, buono per un’altra messa in onda e teniamoci quello che abbiamo. Qui si punta sull’inedito basato sulla parola che non procede sul “binario triste e solitario”, cantato da Claudio Villa, ma sul congetturare sulle scelte fatte. Sulle biforcazioni dell’esistenza, un passo e si cambia. Così, tutto è pronto per la seconda puntata di Storie di donne al bivio di e con Monica Setta (Rai 2, oggi in seconda serata). La prima puntata ha superato il 6% di share e si prospettano cose positive anche per il secondo atto che vede l’arrivo in scena di Serena Autieri, Nadia Rinaldi ed Emma D’Aquino. Dunque, il maschilismo si è dissolto? E i maschi da bar, in quelle figurine sbiadite disegnate in un ritrattino in carta carbone (perché non si inventa mai nulla), non si vedono più protagonisti del loro personale monte Rushmore? Le ambizioni di rivalsa, che fanno sempre provincia e si rispecchiano in un preciso immaginario da petite bourgeoisie, non si vedono più. Sia chiaro, la questione è più complessa. Il problema è l’ideologia. Noi dovremmo avere tutti dei cani cercatori del paradosso, anziché dell’osso. E invece si inciampa nella consuetudine, nell’idea che così è: nulla può cambiare. Sostanzialmente si vuol far credere che la realtà sia tautologicamente reale. Ma tutto parte dal pensiero e bisogna rompere il muro della consuetudine, la questione è tutta qui. Tutte le partiture sociali invecchiano (l’impiegato, l’insegnante, il libero professionista ecc.). Bisognerebbe procedere così, contro ogni intransigenza. Le Storie di donne al bivio vogliono superare il valico dell’ortodossia. Ci riescono, con garbo e misura del costrutto.