(di Tiziano Rapanà) Non possiamo fare a meno della partita? L’idea del gioco, del possesso palla, della curva, la tifoseria, lo stadio. L’idea di immaginare uno stadio e delle persone sedute e delle bandiere sventolare… Fuorigioco! È lo sconforto che si impossessa di me. Anche un sognatore riluttante, che per pigrizia si accontenta di rovesciare l’esistente, spera in un qualcosa di diverso. Ossia, qualcosa che non sia uguale e contrario – altra faccia della medaglia – del previsto in campo ma un vero e proprio mutamento delle corso delle cosa: l’alterità, rispetto a tutto, che prende forma. Le partite viste e peggio ancora le partite giocate andrebbero abolite, anche per il gusto di rinunziare definitivamente all’ambizione. Così da non timbrare, per l’ennesima volta, il biglietto al museo della celebrità alla ricerca del proprio altarino del successo sognato. E rinunciamo alle partite – plurale maiestatico come segno della peggiore protervia – e ai giochi. Rinunciamo al lusso di avere degli avversari, per essere rilevanti del tutto. Mi guardo allo specchio e non mi vedo, come l’uomo senza ombra. Ogni campionato è uguale ad un altro, porta sempre al dramma della competizione. Viva le coppe, per chi ci crede. Ognuno ha la fede che ha e mi rendo conto che lo gnosticismo, qui, non è consentito. Ma il bel gioco è meglio di un bel film. E le poesie, stanche di accucciarsi nei versi, talvolta si scatenano nei gol.