(di Tiziano Rapanà) No, forse non ci siamo capiti. E, per carità, io sulla non chiarezza ultimamente faccio una personale ed eremitica anti-baldoria (ossia l’esatto uguale e contrario della baldoria, né più né meno). Però faccio irrispettosamente notare che nessuno ruba niente a nessuno. Né sfila o altro, evito la sfilata di brutti verbi che rimandano ad un trono immeritato. Ma, innanzitutto, troni non se ne vedono. Non c’è nulla di comodo, qui. Dicasi, lavoro duro e puro. Eppoi starà al lui o alla lei di turno giocarsela e rispettare gli obiettivi dell’azienda. Quindi quando leggo, sui giornali e siti, che “il tal conduttore soffierebbe il posto a…” mi indigno. Sono lecite scelte aziendali. Si punta su un talento con la speranza di ottenere il risultato prefissato. Né più né meno, non vedo scandali. L’ubbia ideologica non mi ha mai toccato, sono obiettivo ai limiti dell’autolesionismo. E quello che leggo ultimamente non mi piace. Bisognerebbe avere più rispetto delle professionalità che sono in campo, da lustri, e che hanno faticato tanto. La gavetta la conoscono così come la durezza della vita. E le cose, cari miei, non te le regalano. Se sono lì e per merito del loro impegno. Si fa il loro nome perché è palese la capacità di fare il proprio mestiere. Ci fosse almeno dell’acrimonia o del tifo. Un bel tifare fatto di bandane sulla testa e bandiere sventolate. Accetto anche il tifo borghese, da scrivania, da sbadiglio alle tre del pomeriggio. Preferisco il tifo da stadio – ma da curva e non da tribuna d’onore – dove si urla e si sbraita e si perde felicemente il controllo. Qui però c’è solo sfiducia e invece bisogna rompere il muro della diffidenza e osservare. Dopo si valuteranno le scelte fatte.