(di Tiziano Rapanà) No che non indosso la coppola di Masaniello e mi do alla protesta. Per carità, evitiamo lo spreco di energia. Evitiamo, dico, evitiamo il racconto sull’amore in televisione. Le fiction, i programmi e documentari. Non c’è nulla da documentare, evitiamo le analisi esistenziali al microscopio. E se ci saranno batteri, pazienza. Nell’osmosi che si provoca tra le identità dei due innamorati e ovvio che ci si lorda e ci si dà all’atletica dell’adattamento. E quindi si pensa un po’ come l’altro, se ne acquistano le abitudini per allargare il proprio patrimonio comportamentale. Davvero evitiamo i racconti d’amore, le pene e le paturnie varie. I primi piani sugli occhi di lei, per far vedere che ha pianto e che se lui avesse avuto ancora coraggio anziché rimanere in quella posizione sociale e matrimoniale eccetera eccetera. Bello l’amore, quando non lo si vede e non lo si immagina. Sfariniamo l’immaginario per liberare il candore dalla falsificazione. Troppa storie, troppe lacrime e quindi troppe soap opera in palinsesto. Lui, lei, l’altro ed è tutto un valzer di ovvietà. Almeno concedetemi un po’ di mazurka che è bella da vedere, perché rappresenta la vitalità da festa paesana. E, invece, ci si abbandona ai soliti passi già visti in tante storie con ripensamenti vari e tanti saluti alla prossima puntata. Comunque non protesto e non mi abbandono al pretesto per la lagnanza, non c’è polemica: non me ne frega nulla. Guardate o non guardate, non cambia nulla. Ma le uscite di emergenza dal teatro dell’abitudine le avete viste. Pertanto potete continuare a fare le stesse cose e perdere tempo a commuovervi in tv oppure cambiate canale. Il telecomando è tutto vostro.