(di Tiziano Rapanà) Eh sì, voglio il mare in tv. Eh sì che preferisco la montagna, perché è tutta infanzia (la mia e dunque è l’unica infanzia che riconosco). Ma voglio il mare in tv, perché possa godermelo tutto. Voglio assaporare quell’immensità che non riesco a godermi dal vivo. Il cheek to cheek non funziona, voglio la mediazione televisiva. Devo guardarlo da un teleschermo per poterlo mirare meglio. No, io dal vivo non me lo godo. L’idea di poter anche solo sfiorare le mani nell’acqua limpida del mare delle mie parti mi getta nello sconforto, perché poi si richiama a tutto quel ventaglio di automatismi che fanno routine. Schiaffeggiare l’acqua come mangiare un gelato o rivedere un amico lontano… ed è il solito bailamme agostano. E invece no: voglio guardare il mare in tv, senza pulsioni documentaristiche né mie né del regista. Si dovrebbe piazzare la telecamera lì ferma tra le acque del mare. Non si dovrebbe fare nulla, nessun commento musicale, zero positura intellettuale da voice over. E per carità evitiamo la didattica che il mare lo si onora così nella sua spontanea magnificenza. A reti unificate lo si deve trasmettere questo mare-meraviglia e si dia inizio all’estate già da marzo, dal tempo pazzerello che guarda alla primavera e al sole che lentamente si fa sempre più sfacciato nel suo apparire: sempre più acceso e sempre più caldo. E ad agosto che sia inverno: che si registri il mare nei giorni di grandine e lo si trasmetta nel tempo massimo della bonaccia, per ricordare così a tutti che verrà il tempo della stagione fredda e le vacanze sono finite e tutti a casa poi ci si rivede. Voglio il mare in tv, perché si ha memoria solo di ciò che ci si nega. Il mare in tv che ha lo stesso colore dell’occasione perduta, che si poteva fare di più e meglio con il solito senno di poi.