(di Tiziano Rapanà) E dunque c’è spazio anche per la parola di un non fan? E non è l’esibizione di un’acrimonia, un’idea di pregiudizio si colora di veleno. Non è una voce che si fa critica, ancora peggio con tono professorale. Qui si cerca il diletto da chi sfugge la trappola dell’automatismo. Al bando il professionismo, la “voce dell’esperto”, del chi parla chi sa. E quindi eccomi totalmente me, lontano da ogni posa da critico, preso dal turbine della lode sperticata per C’è posta per te, programma-cardine del palinsesto di Canale 5. C’è poco da sottolineare: il testo e il contesto sono noti. La busta come pretesto per ritrovarsi, riannodare i fili e riabbracciarsi (forse) o ribadire un astio e una chiusura netta e al poverello o poverella che deve mettere una croce sopra all’amore finito toccherà di cantare: “Alone again, naturally!”. Maria De Filippi, conduttrice e deus ex machina del programma, è lì a sovraintendere: consiglia, consola, accudisce. Straordinaria mediatrice, a lei ci si affida per l’ultima speranza concessa. Quasi sempre fa centro, a volte si arrende all’ineluttabile (“Non si può sempre vincere”, si cantava un tempo). E così siamo sempre lì, all’invocazione, al messaggio della bottiglia. All’innamorato disperato che sospira: “Dite a Laura che l’amo” (voi pensate a Petrarca, in realtà è Michele). De Filippi diventa il punto d’incontro dei sogni e delle speranze, dei patimenti e tribolazioni (paturnie incluse). C’è posta per te è un modo per dire grazie, scusa, riproviamoci. Eccolo il punto fermo del pubblico che da vent’anni segue, con fedeltà, le storie sempre uguali ugualmente coinvolgenti. Qui c’è l’Italia, la radiografia della provincia e della buona gente che deve combattere per arrivare al 18 del mese. I sociologi hanno tanto da studiare dal programma, storie di vita vera che si propongono evitando mascheramenti e artifizi di qualche tipo. Non è il fan che scrive, il pensiero non è obnubilato da smanie da tifoso. Il dato di fatto è incontrovertibile: C’è posta per te è lo specchio del quotidiano, chi lo nega è in malafede.