Paolo Sorrentino racconta la sua notte degli Oscar, dalla meraviglia al disincanto

Paolo Sorrentino racconta la sua notte degli Oscar, dalla meraviglia al disincanto

Appena sveglio dopo la lunga notte degli Oscar, Paolo Sorrentino condivide il piacere di essere stato nominato ancora una volta, a otto anni da La grande bellezza. Ora riposo e senza fretta il prossimo film, chissà quale. Incontro da Los Angeles con il regista napoletano

Paolo Sorrentino sorride, sullo sfondo della dimora dai colori tenui che l’ha accolto per questi giorni di avvicinamento agli Oscar 2022. Sornione ai massimi livelli, è uno spettacolo vederlo dribblare con sapienza i tentativi famelici di un gruppo di agguerriti giornalisti (tra cui chi scrive), collegati via zoom e in caccia di un titolo, una polemica. Sempre più ansimanti, presto sopraffatti dalla fatica, con il ghigno del predatore trasformato in una smorfia vagamente sorridente, vinti dalla melina del regista napoletano. Una costruzione (calcistica) dal basso, orizzontale ma pronta al lancio lungo, nonostante la sua nota passione per il gioco verticale di Maradona.

In grande forma, il regista di È stata la mano di Dio rievoca una notte degli Oscar vissuta con disincanto, “dopo la meraviglia di otto anni fa per La grande bellezza”. Ormai conosce i meccanismi. “Mi sono goduto più i lati ironici, mentre la prima volta ero sempre a bocca aperta. Quei lati che mi aiutano guardare le cose con distacco, prendendo in giro”. Alimentando, magari, una storia da scrivere in futuro. “Mi ha molto divertito vedere come Filippo Scotti, il protagonista del mio film, si muove in questo mondo, con grande velocità”.

Si è detto molto contento di questi sette mesi di campagna Oscar, degli incontri con grandi autori che hanno “adottato” il film, come David O’Russel, Julian Schnabel o Guillermo Del Toro. Un ringraziamento dovuto a Netflix, che si è impegnata “con grande serietà e determinazione perché È stata la mano di Dio fosse conosciuto in giro.” Ora si vuole riposare, Paolo Sorrentino, non sa quale sarà il prossimo film, sicuramente non Mob Girl con Jennifer Lawrence. Ma non è che abbia fretta. “Ormai sono grande, tante cose sono in piedi, come sapete lavoriamo sempre su più cose contemporaneamente, in attesa che una finestra si apra, che si trovi il denaro. Comincio a essere grandicello e trovo giusto fare film con calma, diradare le presenze”.

Schiva le domande su ogni argomento di attualità, anche se dice che “ovviamente sono contro la guerra, superata ormai dalla storia”, ammette che “l’arte nasce scorretta e il politicamente corretto è un problema, un fardello”, ma non entra nel merito di un giudizio sul vincitore, CODA- I segni del cuore, con un legittimo “non mi fate fare il critico. Anche se a me piacciono i film che mi travolgono e avrei fatto vincere Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson”. Come aveva già detto. E non possiamo che essere d’accordo con lui. Lo schiaffo di Will Smith, ormai argomento totalizzante di queste ore? “Non l’ho visto, avevo appena trovato un delizioso angoletto per fumare, raro qui a Los Angeles” e ne aveva approfittato.

Sollecitato sulla (toccante) foto di lui da bambino con la madre, postata in queste ore sui social, ha così commentato, “volevo mettere un punto, andare avanti e pensare al futuro. I film durano tanto nella testa e nella vita delle persone che li fanno. Poi devono finire e per me l’avventura si è conclusa stanotte, anche se il film continuerà ad avere la sua vita, ma il percorso principale è stato fatto, anche egregiamente, penso.” Disunito? Macché, risponde invitando a non far diventare la battuta del film un tormentone. Troppo tardi. “È un termine che usa il mio montatore quando mi invita a stare concentrato, a cercare di combinare qualcosa di buono.”

Ha trovato Los Angeles colpita da questi ultimi anni, probabilmente per la pandemia, o per un anno non particolarmente “dirompente” in quanto a film. “A me interessa fare bei film, dove troverò una bella storia lavorerò”, anche in America. Un luogo molto più sportivo che il belpaese, in cui se non si vince è sempre “una delusione o una sconfitta”, come se non ci fossero mai gli altri; che siano film o avversari di una partita di calcio. “Qui tutti vivono la cinquina come una vittoria e giustamente nessuno si lamenta se non vince. Avevo capito da mesi che non c’erano speranze. Conosco la procedura di entusiasmo intorno a un film, era capitato otto anni fa a La grande bellezza, quest’anno a Drive my car, un film bellissimo che ha meritato di vincere. Essere candidati permette condizioni di maggior libertà per il progetto successivo, non posso che essere contento. Come diceva Robert Louis Stevenson, il nostro compito al mondo non è di avere successo, ma di fallire nelle migliori condizioni di spirito”.

A proposito di spirito, Sorrentino si era presentato scusandosi per un po’ di ritardo, ma “ho portato fino a tardi ieri sera mio figlio a una festa. C’erano musicisti che io non conosco, ma lui sì e voleva andarci. Si è molto divertito, ma anche io”. E anche noi.

comingsoon.it

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