Benvenuti all’Hotel Portofino

Benvenuti all’Hotel Portofino

Un albergo sulla Riviera degli anni Venti, un gruppo di avventori inglesi, tra segreti e scontri culturali. Arriva la serie che ricorda Downton Abbey, ma con dentro tanta Italia

Inglesi e italiani all’indomani della Prima Guerra Mondiale sono un po’ come i Bigfoot e gli unicorni, due mondi che non si incontrano. O almeno così sembrava sulla carta, prima che si dessero appuntamento in tv come avventori dell’Hotel Portofino. Questa villa elegante sulla Riviera degli Anni Venti presta il nome alla serie in costume in sei puntate tratta dal romanzo di J. P. O’Connell (Mondadori), in onda su Sky Serie dal 28 febbraio. Un’oasi di pace «molto British» in cui gli ospiti si aspettano un rispetto rigoroso delle tradizioni made in Inghilterra con un tocco tricolore.

L’atmosfera è esclusiva, quasi rarefatta, tra nobiltà e uomini d’affari inglesi,ma nasconde più segreti di quanto non voglia ammettere. La padrona di casa Bella Ainsworth (interpretata da Natasha McElhone di Californication) si è innamorata della località durante il viaggio di nozze con Cecil (Mark Umbers) e da allora non l’ha più voluta lasciare. Dopo anni di restauro, la destinazione ha aperto i battenti, con un’attenzione quasi maniacale alle «prime impressioni». E sì, perché in quest’epoca l’abito fa decisamente il monaco per stabilire la classe sociale d’appartenenza.

Bella, però, sa bene che il marito dissipa il patrimonio senza alcun rimorso e quindi progetta un matrimonio combinato tra il figlio artista Lucian (Oliver Dench) e una ricca ereditiera. Il giovane, ferito in guerra otto anni prima, porta con sé traumi fisici e psicologici e si lascia trascinare dalle imposizioni materne.

La situazione non è proprio alla Downton Abbey perché Bella ha creato un ambiente informale con la servitù, a partire dalla cuoca, che spesso si lamenta per gli ingredienti a disposizione in Italia. L’idea di usare l’olio d’oliva al posto del burro la manda in crisi.

Tra i corridoi della dimora si aggira una contessa, Lady Latchmere, una specie di Maggie Smith per quel contegno così rigoroso e quello snobismo tanto radicato quanto surreale. Avvezza a vezzi e capricci, dice di odiare l’alcol ma quando le propinano a colazione il limoncello per la digestione spacciandolo per limonata locale allora scopre la sua nuova passione. La interpreta Anna Chancellor, che da Quattro matrimoni e un funerale in poi (grazie al ruolo dell’ex di Hugh Grant, soprannominata «faccia di chiulo») è abbonata alle parti da rompiscatole doc.

L’unica presenza non britannica è rappresentata dai due nobili Albani, a cui prestano il volto Daniele Pecci (è il padre Carlo) e Lorenzo Richelmy (Roberto, il figlio). Entrambi amano a tal punto la cultura inglese da soggiornare nel ritrovo dei brit con un pizzico di rammarico e tanta ammirazione.

La caratterizzazione della società italica, tra l’esotico e il romanzato, si presta brillantemente per fare da cornice ad un thriller in costume dal ritmo solenne e diluito. Quello che accomuna tutti i personaggi, infatti, è la tendenza a sentirsi intrappolato o in fuga dal luogo all’apparenza paradisiaco.

Le relazioni intessute sulle menzogne, la facciata impeccabile e le crepe nella maschera dimostrano che, a dispetto delle premesse, persino un castello può crollare con un soffio di vento, se costruito sulla sabbia. 

Siamo nell’epoca del fascismo e un attivista rischia la vita per un ideale(Rocco Fasano): ecco, ancora una volta, è scontro di civiltà. Sul campo di battaglia o dietro la tazzina da tè, la polarizzazione della società si dà battaglia. 

La resistenza ai cambiamenti è nell’aria. Chi la spunterà? Un inno alle seconde occasioni, quindi, per sfidare il fatto e decidere del proprio destino.

 

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