A tu per tu con Margherita Carducci che dopo aver duettato con Donatella Rettore a Sanremo ci racconta il suo album
La voce di Ditonellapiaga mi ha accompagnata in sessioni di canto spacca-cuore e danza strike a pose in macchina, è risuonata forte e chiaro dal palco di Sanremo 2022 e adesso mi raggiunge con un filo diretto Roma-Milano. L’energia di Margherita Carducci, romana classe 1997, è palpabile anche a chilometri di distanza e nel suo tono c’è una sorta di entusiasmo stanco, ma felice. D’altronde il 14 gennaio è uscito il suo primo album, Camouflage, e lei si è trovata al suo debutto sul palco dell’Ariston insieme a Donatella Rettore, con una canzone scritta di sua penna che ha intitolato Chimica, esattamente come quella che traspare tra le due cantanti.
Ditonellapiaga scrive, suona e canta un po’ di tutto – melodie, rap, jazz, elettronica, reggaeton, ballad – e proprio per questo abbiamo parlato un po’ di tutto, anche della sua filosofia a cavallo tra una sensazione di nostalgia e la voglia, anzi il bisogno assoluto, di dare sfogo al suo lato di “provocazione ironica” come lo definisce lei stessa. Non a caso il suo personaggio preferito delle serie tv è Michael Scott di The Office, con quel suo essere sincero quando vuole, fuori luogo e lucido, divertente e drammatico, “pieno di sé e allo stesso tempo fragilissimo”. E questa era una reference per millennial, chiediamo scusa a chi ha colto un’interferenza.
Dicevamo, Margherita è tante cose, fa tante cose, preferibilmente con un cocktail in mano (è così che ci consigliava agli amici di assistere alla sua performance sanremese) e scoprire il suo universo oltre il palco dell’Ariston, ascoltando Camouflage, è un po’ come fare un giro tra gli umori di una lunghissima notte, tra voguing in discoteca e momenti in cui ci sale un po’ storta e torniamo a pensare al nostro ex. La corsa si conclude nelle corsie di un mini market proprio prima che albeggi e Ditonellapiaga è stata felicissima di accompagnarci (ce lo dice con un messaggio vocale).
Il palco di Sanremo lo hai vissuto “un passo indietro o un passo avanti”? Citando l’Amadeus di un paio di edizioni fa. Mi spiego meglio: tu che messaggio hai portato?
Il messaggio di Chimica è sostanzialmente: “Non mi fare la morale che alla fine se Dio vuole è solamente questione di chimica” ovvero non ci fate la morale. È un incitamento alla libertà in amore che dà un’idea chiara del nostro punto di vista. Voglio dire, basta con questo bigottismo: parliamo di sesso e rendiamolo libero per tutti.
Cos’avete in comune tu e Donatella Rettore?
Musicalmente abbiamo in comune un po’ di irriverenza e di provocazione ironica. Lei è sempre stata questo e penso che il pezzo ci leghi per la sua parte provocatoria e provocante allo stesso tempo. Oltre a questo, ci accomuna il desiderio di fare musica per scuotere un po’ gli animi, per far divertire il pubblico: quando siamo salite sul palco abbiamo cercato di spettinare un po’ tutti.
Quando hai scoperto la sua musica?
Non c’è un momento preciso in cui l’ho scoperta, lei è così famosa che è come se l’avessi sempre conosciuta. Però c’è stato un momento in cui ho cominciato a considerare Donatella Rettore come una cosa troppo attuale.
Penso di essere stata alla fine del liceo o all’università e mentre ballavo con gli amici è partita Splendido Splendente. Ovviamente la conoscevo già, ma tutti sono letteralmente impazziti e vedere che un pezzo degli Anni 80 era ancora così attuale mi ha colpito tantissimo. Da lì sono andata a riascoltarla e soprattutto guardare le sue performance avanguardistiche. Quando ho iniziato ad avere il mio progetto personale c’è stata anche la sua influenza, penso si senta particolarmente in Morfina, così come ovviamente nel pezzo di Sanremo, che ho scritto ispirandomi a lei, una sorta di incontro tra Splendido splendente e Kobra.
Le canzoni le scrivi al primo colpo o le ripassi all’infinito?
Dipende. Io preferisco scrivere i pezzi in maniera istintiva, perché poi trascinarseli diventa faticoso. D’altra parte ho avuto esperienze molto positive nel risultato scrivendo pezzi in fasi distanti una dall’altra. Per esempio Non ti perdo mai è nato così: ho scritto la melodia a settembre di un anno, poi la prima strofa l’ho scritta a marzo e la seconda a dicembre. Del ritornello invece se n’è occupato Fulminacci. Praticamente questa canzone è nata in un anno ed è stato in realtà un bene, perché ho sentito il cambiamento a livello testuale.
Mi spiego meglio: parlando il pezzo di una relazione, di un forte attaccamento a una persona, nella prima strofa io ero ancora molto legata a questa situazione quindi c’era un po’ più di tristezza, voglia di tornare insieme. Nella seconda invece era passato del tempo e io ero un po’ più forte e qui lo dico quando canto “è più facile soffrire / E raschiare il fondo a vuoto / Che riprovare a fiorire, reimparare a costruire” nel senso che mi ero un po’ rotta le scatole di prendere la via facile ovvero stare in casa e piangere invece di uscire e provare a fare un passo fuori e rischiare però di prendere una facciata.
Lo so solo io che questa canzone traccia un arco temporale più ampio, magari un ascoltatore non se ne accorge, però questo mi ha fatto capire che si possono scrivere canzoni anche in più tempo, con valore aggiunto.
Come ispirazioni al mood di Camouflage hai elencato via social serie e film come Fleabag, The Office, Marie Antoniette, La fabbrica di cioccolato. Come sono finiti nell’album?
Diciamo che sono tutti riferimenti che si riflettono nel mio modo di scrivere… Non ho creato l’album espressamente pensando a queste serie e film, però a volte le rivedo nei miei pezzi. Ad esempio in Vogue, se dovessi mai fare il video lo farei ispirandomi all’iconica performance di Vogue di Madonna in cui lei richiama molto lo stile Marie Antoniette, perché trovo fighissimo questo connubio tra look di quell’epoca e modernità.
C’è anche qualcosa che mi hanno lasciato i personaggi, come Michael Scott di The Officeche è un capolavoro. Tant’è che anche in Boris il mio personaggio preferito è Stanis che per me è un po’ il gemello di Michael Scott, un personaggio mitomane e simpaticissimo, pieno di sé nel suo essere fragilissimo. Lo amo, ti giuro.
Nella cover di Camouflage sei mimetizzata, appunto, in mezzo alle amiche di tua nonna. Perché hai scelto loro come habitat?
L’idea è nata da una suggestione estetica durante il compleanno degli 80 anni di mia nonna. Eravamo al mare e tutte le sue amiche sono venute da noi per festeggiare, allora mi sono fermata a guardarle, tutte con queste collane, i caftani, che chiacchieravano e sbevazzavano e ho pensato che erano stupende, avrei voluto essere una di loro.
Essendo il titolo del disco dedicato al mio essere camaleontica, volevo tradurlo anche in modo visivo. Il tropicale e il camaleonte erano un po’ scontate come strade. Ho voluto invece ricreare questa foto di famiglia, come se fosse passato il nipote a catturare uno scatto rubato. L’atmosfera mi riporta un po’ anche a quando ero bambina e le vedevo in salotto mentre giocavano a carte. Allora io andavo in camera di mia nonna, mi vestivo, mi mettevo le collane e giocavo ad essere come i grandi, che poi è una cosa che abbiamo fatto tutti. Mi sembrava riprendesse bene il tema del disco che è alla fine travestirsi, giocare ad essere qualcun altro.
Una sorta di camouflage nella nostalgia, che è un tema ricorrente nelle tue canzoni, soprattutto in Come mai
Questo è il pezzo a cui tengo di più nel disco perché credo sia molto importante onorare la memoria. Spesso contamino alcuni ricordi con invenzioni perché per me raccontare una cosa alla quale tengo molto è una cosa difficile perché ho sempre paura di banalizzarla, quindi devo avere il tempo di processarla e poi scriverla.
Come fai è nata dopo tanto tempo che mi ero lasciata con una persona per me importantissima nella mia vita. Per tanto tempo non sono riuscita a parlarne in musica, perché non mi veniva spontaneo, volevo parlare d’altro. Quando ho cominciato sentivo di dire le cose banali che si dicono quando ci si lascia, poi a un certo punto il mio corpo ha deciso di lasciare libero sfogo a quello che sentivo e poi è stato bellissimo perché dopo questa canzone è stato come se avessi accettato di lasciarlo andare.
In una delle ultime interviste, Taylor Swift ha detto che spesso l’accusano di scrivere solo canzoni sui suoi ex. Ti ci rivedi?
A volte è difficile raccontare le cose nel momento in cui le stai vivendo. Di solito mi viene più facile parlare di cose che sono già accadute e riflettere su queste cose. D’altra parte c’è bisogno anche di pezzi più innamorati e meno nostalgici. È una cosa che mi prometto di fare anche quando vivrò cose belle. Ultimamente mi è capitato di essere innamorata, ma avevo più voglia di vivere la cosa che di scriverla. Le cose quando sono belle te le vuoi vivere.
Alla fine di Camouflage parte il tuo messaggio vocale dove chiedi scusa per la spontaneità con cui ti sei comportata durante la serata anche se, si capisce benissimo, non ti dispiace poi così tanto. Lo hai inviato anche post Sanremo?
Spero di non dover chiedere scusa a nessuno a Sanremo (ride, ndr) lo potrei mandare solo quando venissero fraintesi i miei intenti, perché vorrei fosse chiaro che il nostro messaggio è positivo.
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