I segreti del “finto oro” di Cimabue svelati dai raggi X del sincrotrone

I segreti del “finto oro” di Cimabue svelati dai raggi X del sincrotrone

Bisogna agire su umidità e luce per conservare i capolavori dell’Arte Sacra. “L’imbrunimento è dovuto alla formazione di un composto nero che è lo stesso materiale responsabile dell’annerimento di tanti oggetti o gioielli fatti d’argento”

L’ umidità e la luce sono le nemiche dell’oro presente nei quadri. Scoperta infatti la causa dell’imbrunimento del “finto oro” usato da Cimabuenella sua celebre opera “La maestà di Santa Maria dei Servi”, conservata a Bologna, grazie alle le analisi condotte ai raggi X presso il sincrotrone (un acceleratore di particelle circolare e ciclico, ndr) di Grenoble e il Centro di Ricerca Desy di Amburgo.

Il team (guidato dall’Istituto di Scienze e Tecnologie Chimiche “Giulio Natta” del Cnr e dall’Alma Mater Studiorum di Bologna, in collaborazione con l’università di Perugia e quella di Anversa) ha concluso che il fenomeno è imputabile principalmente all’umidità e può aggravarsi con l’esposizione alla luce. Lo dimostrano i risultati pubblicati sul “Journal of analytical atomic spectrometry”che saranno utili soprattutto per studiare delle strategie di conservazione per le opere che presentano il “finto oro”.

Per impreziosire sfondi e dettagli decorativi, si usavano foglie d’oro, ma a causa dei costi elevati, il loro impiego era riservato alla realizzazione di aureole particolari preziosi e, per le zone più ampie, veniva usata una miscela composta da polvere d’argento metallico e orpimento: un pigmento giallo “simigliante all’oro”, come definito da Cennino Cennini, (Il Libro dell’Arte, Capitolo XLVII), destinato però a scurirsi con il tempo e, oggi si può dire, a causa di luce e umidità. La celebre “Maestà di Santa Maria dei Servi” di Cimabue (1280-128 5ca., tempera e oro su tavola), custodita nella omonima chiesa di Bologna, è tra le opere maggiormente interessate da questo processo di imbrunimento.

“L’imbrunimento è dovuto alla formazione di solfuro d’argento, un composto nero, che, per intenderci, è lo stesso materiale responsabile dell’annerimento di tanti oggetti o gioielli fatti d’argento”, ha spiegato Letizia Monico, ricercatrice del Cnr-Scitec e prima autrice dello studio. Il lavoro, integrato con indagini su provini pittorici a tempera invecchiati artificialmente, ha dimostrato che “l’orpimento originale, per reazione con l’argento metallico, si trasforma in solfuro d’argento e in ossidi d’arsenico in condizioni di elevata umidità relativa percentuale e/o in presenza di luce“, ha specificato Aldo Romani, professore associato dell’Università di Perugia e co-autore del lavoro.

La conclusione, quindi, è che bisogna agire su questi fattori per mitigare e rallentare il processo d’imbrunimento, e questo si può fare esponendo il dipinto a livelli di umidità relativa percentuale inferiori al 30% e mantenere l’illuminazione nei valori standard previsti per i materiali pittorici sensibili alla luce.

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