Il musicista ha lanciato il suo nuovo singolo da solista, Elettronica, omaggio ad una tessitura musicale sinonimo di aggregazione: «In un’epoca di chiusure e distanziamenti, racconto – con un po’ di nostalgia – un periodo storico in cui ci riunivamo intorno a quel linguaggio universale»
bicchieri sul cofano, alle prime luci dell’alba. Con il volume ancora alto, gli occhi chiusi e l’immaginazione che vola: il cuore come un beat. Una cartolina che oggi, in epoca di chiusure e distanziamenti, sembra arrivare da un tempo lontanissimo. Samuel, che della realtà notturna è in assoluto – per esperienza e conoscenze – tra i massimi esponenti, ne tratteggia i contorni in un nuovo singolo da solista, Elettronica, omaggio ad una tessitura musicale da sempre sinonimo di aggregazione. «È un racconto romantico e un po’ malinconico di un periodo storico», ci spiega il musicista torinese, «in cui la notte aveva un ruolo importantenella vita di tutti quelli che uscivano per dimenticare la ciclicità del giorno, staccare da lavoro e stress».
Se andiamo alle radici del brano, mi saprebbe trovare la scintilla creativa?
«È una canzone d’equipe, scritta con Andrea Bonomo e Dade, dei Linea 77. Non è un caso che sia nata adesso, che a causa della pandemia dobbiamo adattarci ad una libertà ad elastico: le regolamentazioni ci allontanano dai club dove, appunto, in molti eravamo soliti ritrovarci per ascoltare quel linguaggio universale che è l’elettronica».
Come la spiegherebbe ad un alieno che è appena sbarcato sul nostro pianeta?
«Molto semplicemente quella musica che si fa con i computer. Che anche lui, se è arrivato fin qui, dovrebbe saper maneggiare. D’altronde nei nostri studi, oggi come negli anni Novanta, l’intento è generare un vero e proprio di viaggio: un’astronave dell’anima alla ricerca della libertà, sfogando i propri sentimenti».
C’è qualche immagine, del suo vissuto, che l’ha guidata durante la scrittura?
«Con i ricordi che ho, potrei riempirci dei libri. Partivamo in gruppo dalla nostra città per fare concerti, ci incontravamo con altre realtà musicali: suonavamo in locali diversi, poi ci trovavamo agli after e negli alberghi, fino al sorgere del sole. L’incontro di una grande tribù, la bellezza dell’assembramento».
Ecco appunto, da due anni ormai una parolaproibita. Che idea si è fatto della situazione?
«La stessa che ci si prospettava, ossia che per rendere endemica una malattia ci vogliono anni perché il virus trova il modo per ricrearsi e sopravvivere: le differenze sociali nel mondo e l’ignoranza sono gli ostacoli più grossi al ritorno alla normalità. Tra l’altro io da piccolo ho studiato biologia, ho capito subito che sarebbe servito molto tempo».
Del primo lockdown, cosa si porta dietro?
«Mi ha messo in condizione di staccarmi dal tempo tradizionale e creami un nuovo spazio: uscire da quel tipo di gabbia è una manna per il processo creativo. In sostanza l’ho utilizzato come una vela, mi ci sono aggrappato e ho scritto un album, altri singoli, dato vita ad un festival in barca alle Isole Eolie, pensato, immaginato, poi – appena possibile – messo in atto. Insomma, non ho fatto il pane, quello ho continuato a comprarlo dal panettiere».
A livello mentale, di paure, crede che questa situazione lascerà strascichi?
«All’inizio ero convinto che il Covid, emotivamente, avrebbe avuto una risultante simile sugli esseri umani. Poi, con l’arrivo dei vaccini, delle varianti e il ritorno ad una piccola libertà, ho capito che ci sono tante sfaccettature delle reazioni: alcune, ad esempio, sono rabbiose, altre più pacate. Dipende dall’individuo: per quanto mi riguarda, nonostante fuori si fosse fermato tutto, ho trovato il movimento dentro di me».
Ma crede che un mondo di mascherine metta a repentaglio la capacità di appassionarsi e stare insieme?
«In verità sento tantissima voglia di aggregazione. E l’esasperazione di questa voglia, lo abbiamo visto, ha portato alcune persone ad incontrarsi di nascosto, in maniera illecita, in feste private. E quando questi sfoghi sociali sono incontrollati, poi accadono cose che non dovrebbero accadere: chi fa i provvedimenti dovrebbe tener conto che lo svago non è solo andare allo stadio o al centro commerciale».
Nel frattempo, manca pochissimo a Sanremo. Sono passati cinque anni dalla sua Vedrai, ha mai pensato di tornare al Festival?
«Sono successe tante cose e per adesso, sono onesto, non ci ho mai pensato. Sono comunque decisioni che generalmente prendi all’ultimo minuto, capita tutto velocemente: anche nel 2017 sono andato con una canzone che in realtà avevo già scritto per il mio primo album da solista, Il codice della bellezza, uscito poche settimane dopo».
Poi è arrivato Brigata Bianca, nel mezzo c’è stata l’esperienza come giudice di X Factor. In futuro sarà più facile vederla di nuovo ad un talent o all’Ariston?
«Il mio linguaggio è la musica, quindi credo proprio che sarà più facile vedermi su un palco. Ma non chiudo la porta a niente: in passato mi è capitato di pensare che non avrei mai fatto una cosa, poi mi ci sono ritrovato dentro, con entusiasmo».
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