Margherita Granbassi: «In amore sono sfortunata, la tv con Santoro mi è costata la divisa da carabiniere»

Margherita Granbassi: «In amore sono sfortunata, la tv con Santoro mi è costata la divisa da carabiniere»

Margherita Granbassi, ex campionessa del fioretto, ora presentatrice con escursioni nel giornalismo: le donne hanno ormai conquistato un ruolo centrale nello sport e in ciò che ruota attorno?
«Sì, lo sport è più avanti rispetto ad altri mondi e lo è pure sul fronte dell’immagine che ha saputo dare alla donna».

È stata una fortuna o una disdetta competere negli anni di fuoriclasse come Vezzali e Trillini?
«I due “monumenti” erano modelli da copiare. Ma allo stesso tempo non mi permettevano di essere del tutto sicura di me. Non ero una piena di autostima: ho dovuto lavorare per sbloccarmi. Morale: senza Valentina e Giovanna avrei vinto prima».

L’avversario importante crea motivazioni…
«Quando l’imbuto si restringe, capisci che devi battere… quelle lì. Detto questo, ho avuto un nemico più tosto: gli infortuni. La mia carriera è stata conclusa dagli incidenti».

Quanto ha lottato per salvaguardare il territorio dai mostri sacri?
«Tanto, anche perché sono cresciuta senza campioni a fianco, come accadeva alle colleghe di Jesi. Non ho mai conosciuto l’“odore” di una medaglia importante, al massimo scrivevo i pensierini sul diario e seguivo Andrea Magro, mio maestro e poi futuro c.t.: girava il mondo, prima da arbitro e poi da tecnico, e in palestra attaccava ai muri i poster dei fuoriclasse».

Ma un titolo iridato alla Vezzali l’ha negato…
«Nel 2006, a Torino. L’anno prima avevo vinto la Coppa del Mondo, ma avevo fatto schifo al Mondiale. Volevo essere concentrata e spensierata per riscattarmi: Valentina dava mazzate, ti consumava sul piano emotivo e alla fine mollavi. Serviva un salto di qualità mentale: quando ho girato l’interruttore, molto è cambiato».

In politica la Vezzali è forte quanto l’atleta?
«Le sarà difficile replicare ciò che ha ottenuto in pedana. Ma farà bene e sono certa che il suo impegno sia pari a quello della sportiva. Però mi ha sorpreso la sua nomina a sottosegretario: pensando al mio sport, avrei immaginato una Diana Bianchedi».

È vero che le compagne erano anche «serpenti»?
«Qualcuna lo è ancora… La scherma non ha un ambiente facile: con certe colleghe la competizione non era solo in pedana».

Essere bella quanto l’ha aiutata?
«In pedana poco. Magari in altri ambiti mi ha agevolato: in questo sono stata fortunata».

C’è molta omosessualità nella scherma?
«Sì, soprattutto tra le straniere».

Lei ha mai subito avances?
(risata) «Avevo una corteggiatrice».

La scherma passa per essere un ambiente libertino.
«Non più di altri sport: si condividono passione, tempi e spazi, così scatta la legge del maso chiuso».

Fuori i nomi dei «cuccatori».
«Non potrei mai! Al massimo mi sbilancerei su qualche straniero».

La aiutiamo invece con un italiano: Gigi Tarantino…
«Gigi prima di tutto era decisivo per il clima della squadra: se ero di cattivo umore, sapeva farmi sorridere. Sono contenta che sia diventato c.t. della sciabola».

La sua passione per il giornalismo?
«Erano giornalisti un nonno e un prozio, ero stregata dai loro racconti. Così quando ho avuto occasione di fare esperienze giornalistiche non me le sono perse».

Poi è entrata nell’orbita di Michele Santoro.
«È stata un’esperienza importante e dura: mi hanno classificata politicamente, ho sofferto. In quel momento io e la politica eravamo le cose più lontane che potessero esserci».

Santoro era identificato come uomo di sinistra: lei ha scontato quell’etichetta?
«C’era strumentalizzazione. Mi incavolavo per le critiche, ma mi arrabbiavo anche per le lodi sperticate. Ma certe occasioni vanno colte. Non tutte, peraltro: io ho detto più dei no che dei sì».

Santoro l’ha aiutata a reagire?
«Sì, ho scoperto la sua umanità. Ma ho dovuto lasciare l’Arma, a malincuore: rischiavo di essere un burattino, senza conoscere il burattinaio. Uscì un’intervista a Francesco Cossiga, che non aveva nemmeno visto la prima puntata: gridava allo scandalo per una “Carabiniera vestita da velina che andava da Santoro”. Era un attacco gratuito: il mio look era quanto di più serio si potesse immaginare».

Ora è più vicina alla politica?
«No, la vedo sempre con timore pur avendo ricevuto proposte da tutte le parti. Però mi fa ancora paura, soprattutto perché gli italiani la vivono come se fosse il calcio».

Tante trasmissioni alle spalle, quale le è rimasta nel cuore?
«L’ultima avventura, a Tokyo con Discovery-Eurosport, è stata emozionante: con un bel gruppo di colleghi ho raccontato un’Olimpiade pazzesca. Ma sono anche contenta di Green Dream, serie web nel settore nella sostenibilità ambientale: pensavo a mia figlia e al suo futuro».

È stata quinta a «Celebrity MasterChef», perciò cucina bene…
«Abbastanza, nonostante qualche disastro. Cucinare mi diverte e mi rilassa: mi riescono bene i primi di pesce e i risotti, anche se a MasterChef per un risotto ho preso un grembiule nero. Ho un difetto: in cucina non sono ordinata».

Poi è stata protagonista in «Drive Club» e «Sirene».
«Il primo ha appagato la passione per i motori, il secondo mi ha permesso di raccontare le forze dell’ordine: ho partecipato a una missione della Finanza in una casa di riposo dove avvenivano maltrattamenti. Se comunico bene mi brillano gli occhi come quando salivo in pedana».

Con chi scapperebbe?
«Oddio!! Dipende… Se dovessi scoprire l’Italia chiamerei Vittorio Sgarbi. All’estero, invece, andrei a Malibù a trovare Pierce Brosnan, attore dal fascino intramontabile».

È una «sciupamaschi»?
«No, semmai sono stata un po’ sfortunata in amore: sono separata dal padre di mia figlia Léonor».

Sognava la stabilità?
«Sì, e una famiglia numerosa. Mi sarebbe piaciuto trovare l’amore della vita in giovane età. Non è andata così, ma ho avuto una bambina bellissima e vivo con grande romanticismo. Sono innamorata dell’amore e sono convinta che da qualche parte ci sia. La passione per mia figlia non avrà uguali, ma ho voglia di incontrare la persona giusta».

Un desiderio per Léonor?
«Che diventi una donna libera, capace di amare chi vuole e di realizzare i suoi progetti».

Quali sono i ricordi della Margherita bimba?
«Sognavo a occhi aperti, mi immaginavo campionessa. Vedevo i Giochi e mi emozionavo: poi quel traguardo l’ho raggiunto. La Margherita di oggi sogna invece di essere felice e di rendere tale chi ha vicino».

Dieci secondi per giudicare l’Italia.
«La vedo come a volte vedevo me. Ovvero, con grandi potenzialità non del tutto espresse».

C’è un incubo che la insegue?
«No, però qua e là mi faccio sorprendere dai sensi di colpa: a volte sono condizionata dal timore di far soffrire gli altri».

Ha una laurea in economia aziendale: com’è il rapporto con i soldi?
«Pessimo, però rimango rilassata: ci tengo all’indipendenza finanziaria, ma non do grande importanza al denaro. Sono molto semplice, non amo il lusso sfrenato e l’esibizione».

Spesso a una ragazza per sfondare basta l’avvenenza.
«Ormai è una questione di mercato, con relative convenienze. Per cambiare la situazione bisognerebbe lavorare sulla società».

È ora che l’Italia abbia una donna premier o presidente della Repubblica?
«I tempi sono maturi da un pezzo. Ma che sia uomo o donna, l’importante è che sia la persona adatta al ruolo».

Qual è il podio delle donne ammirate da Margherita Granbassi?
«Rita Levi Montalcini, Oriani Fallaci e Margherita Hack, triestina acquisita. Guardo però anche alle donne dietro le quinte che non hanno raggiunto il successo, a quelle che si battono ogni giorno e magari hanno subìto violenza».

Quanto si riconosce nel clima mitteleuropeo di Trieste?
«Tanto. In famiglia abbiamo radici austriache e slovene. La zona di confine mi ha dato grande apertura e la capacità di adattarmi alle situazioni: la mia generazione si sente figlia di un territorio che in un punto ha tre confini; un passo lo fai in Italia, uno in Austria, uno in Slovenia».

Trieste è ritenuta la città più vivibile.
«Ma io, per sport e lavoro, mi ero trasferita a Roma. E non è la stessa cosa!».

Coraggio, vuoti il sacco.
«Imperano la sporcizia e la mancanza di senso civico: il mio quartiere, vicino a Ponte Milvio, è carino ma è tenuto in modo indecente. Molto di Roma mi fa soffrire: sarebbe la città più bella del mondo. Io provo a fare la “nordica”: sfrutto la pista ciclabile anche se fatico a riconoscerla, giro in bici, faccio la differenziata. È una città tenuta in ostaggio dalla politica? Sì, da anni».

Una svolta è possibile?
«Ne serve una orientata anche verso lo sport. Mi sono laureata con una tesi sul turismo sportivo: le città dovrebbero aiutare la mobilità della gente per cambiare atteggiamenti e mentalità».

Margherita ha nuovi progetti all’orizzonte?
«Mi piace scrivere, ma quando si accende la telecamera scatta qualcosa in me pur essendo di una timidezza quasi patologica. La verità è semplice: amo comunicare e adesso l’idea è di farlo come autrice di programmi. Ho scritto dei format, forse il sogno nel cassetto è vederli in tv».

Flavio Vanetti, corriere.it

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