Karate Kid non delude mai, neppure nella sua declinazione seriale, Cobra Kai (non a caso attualmente la serie più vista al mondo su Netflix). Infatti ha regalato una fine d’anno memorabile ai fan, con un finale della quarta stagione a dir poco epico. Mentre sono già terminate le riprese del capitolo successivo (niente paura, non sarà l’ultimo!), si alza decisamente l’asticella delle sfide sul tatami.
Anche se, ad essere proprio onesti, si fa un po’ fatica a seguire lo scambio di allievi tra i vari sensei. Daniel LaRusso (Ralph Macchio) insegna ai suoi ragazzi del Miyagi-Do Karate a contenere la rabbia e non usare questa disciplina se non per difesa. L’approccio pacifista non convince il suo nemico-amico Johnny Lawrence (William Zabka), che invece insegna agli adepti dell’Eagle Fan a colpire per primi. La linea dura, quella senza pietà, arriva da John Kreese (Martin Kove), fondatore del Cobra Kai intenzionato a riportare l’attività ai fasti degli Anni Ottanta sotto il suo pugno di ferro.
Le fazioni si polarizzano, come da tradizione, per il torneo All-Valley che LaRusso da ragazzo ha vinto due volte e che, nella versione presente, si è guadagnato Miguel Diaz (Xolo Mariduena) nell’edizione precedente.
Questi tre maschi alpha, ciascuno a suo modo, vogliono imporre il proprio stile e, al tempo stesso, annientare la competizione. Ecco perché scommettono di vincere oppure si preparano a chiudere i battenti. La pressione sugli studenti, allora, diventa insopportabile perché la nuova generazione deve fare i conti con i rancori in sospeso di quella precedente.
Le strategie sono piuttosto variegate e prevedono, ad un certo punto, una strana coppia in gara, quella di Johnny e Daniel. Kreese punta sul divide et impera e infatti prova subito a mettere zizzania tra i due, avvalendosi di un ritorno storico nella saga, quello del suo ex socio Terry Silver (Thomas Ian Griffith), direttamente da The Karate Kid III.
Spoiler alert: i due hanno combattuto insieme in Vietnam e Kreese ha salvato la vita all’amico durante la guerra, quindi si sente in dovere di riscuotere. Non si sa bene chi dei due sia la proverbiale serpe in seno, ma di certo la fusione di due teste calde del genere promette scintille.
I colpi bassi sono ampiamente ammessi in questa competizione che scardina ogni certezza: gli adulti perdono l’equilibrio, manipolano i ragazzi, usano il proprio ascendente per servire il proprio ego, a discapito della nobile disciplina che dovrebbero servire.
È tempo del ballo di fine anno, questi liceali vorrebbero solo consolidare la propria identità facendo leva sulle conferme esterne di genitori e maestri e invece si trovano, ancora una volta, a combattere battaglie legate al passato.
Qui si va ben oltre l’effetto nostalgia – ancora fortissimo, grazie ai flashback del franchise – e al momento wow – per gentile concessione di Carrie Underwood, super ospite del torneo – perché il racconto ha una solidità coerente e al tempo stesso innovativa. Il ritmo procede serrato, i personaggi sperimentano direzioni diverse. Certo, bisogna annotare su un taccuino tutti i cambi di scuola di karate dei ragazzi (occorre un bignami) ma è impressionante vedere come riescano a perdersi e ritrovarsi nel loro karategi (la divisa).
Uno dei temi-cardini del franchise, il bullismo, stavolta viene raccontato da una prospettiva diversa, quasi insospettabile, in cui i ruoli di vittima e carnefice diventano sempre più labili.
In effetti, la divisione dei personaggi in buoni e cattivi stavolta non solo scricchiola ma viene meno perché si vede chiaramente cosa si è disposti a fare e dove ci si spinge per ottenere i propri obiettivi. Tutti diventano machiavellici e nessuno si salva davvero. Al di là delle fazioni, insomma, quello che attrae nei nuovi episodi è lo spettro di sfumature, l’oscillazione del pendolo morale. Cadono i punti di riferimento? Forse, ma si acquista credibilità: persino l’animo umano più puro deve fare i conti con il proprio lato oscuro. Ecco una delle ragioni per cui non solo Cobra Kai 4 fa centro ma supera ogni più rosea aspettativa.
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