West Side Story: 18 curiosità sul film più difficile di Steven Spielberg

West Side Story: 18 curiosità sul film più difficile di Steven Spielberg

Il prossimo 27 marzo, agli Oscar, siamo sicuri che non mancheranno le nomination “importanti” per il West Side Story diretto da Steven Spielberg. Il film – dal 23 dicembre nelle sale italiane distribuito dalla Walt Disney – è l’adattamento cinematografico dello spettacolo di Broadway originale del 1957, ideato, diretto e coreografato da Jerome Robbins, con libretto di Arthur Laurents, testi di Stephen Sondheim e le leggendarie musiche di Leonard Bernstein e già portato sul grande schermo 60 anni fa (1961) da Robert Wise insieme a Jerome Robbins.

La storia – che mantiene la struttura in due atti – ci riporta nella New York del 1957, allo scontro tra due bande, in guerra per il controllo del West Side. Da una parte ci sono i Jets, che si considerano i “veri” americani (figli di immigrati italiani o polacchi), e dall’altra gli Sharks, portoricani da poco sbarcati. All’interno di questa feroce rivalità, spiccherà l’amore tra Tony (che il volto dell’attore Ansel Elgort) e Maria (l’esordiente Rachel Zagler). Lui è il fondatore pentito dei Jets, lei è la sorella di Bernardo (David Alvarez), il leader degli Sharks. Il loro è un amore totale destinato a finire in tragedia, soffocato dal cieco odio, e rievoca “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare.  Supportato dall’eccellente sceneggiatura del vincitore del Premio Pulitzer Tony Kushner, Spielberg ci regala un’allegoria molto attuale del nostro mondo, ancora pervaso da razzismo e nativismo. 

Ci avviciniamo a questa versione moderna e perfettamente contemporanea di questa musical-capolavoro riportandovi una serie di curiosità.

1. Spielberg: “Il mio film più difficile”

Si tratta probabilmente del film più arduo della mia carriera” ha dichiarato il regista Steven Spielberg che ha iniziato a pensare di fare questo film nel 2012, durante la lavorazione di Lincoln ed è passato all’azione subito dopo The Post. “West Side Story è un’opera davvero sacra e vanta quella che è forse la più grande partitura musicale mai scritta per il teatro e ognuno di noi ne è assolutamente consapevole. Prendere un capolavoro teatrale e rivisitarlo da un’altra prospettiva e con un’altra sensibilità, era piuttosto spaventoso”.

2. Le origini di West Side Story

West Side Story fu creato da quattro geni indiscussi, il regista e coreografo Jerome Robbins, il compositore Leonard Bernstein, il paroliere Stephen Sondheim e il drammaturgo Arthur Laurents. Il primo a concepire l’idea, già nel 1949, fu Robbins che, insieme a Bernstein, lavorò ad un plot che raccontava il conflitto tra una famiglia irlandese cattolica e una famiglia ebrea che vivevano nel Lower East Side. Leggenda narra che nel 1955, dopo un incontro con i due, il drammaturgo e sceneggiatore Laurents propose invece una trama incentrata su due gang adolescenziali di New York, una formata da immigrati portoricani appena giunti nel paese e l’altra da discendenti di immigrati europei appartenenti alla classe operaia. Il progetto prese forma e, pur con fatica, ottenne dei finanziamenti. 

3. Dal teatro al cinema, un fenomeno culturale

Le prime prove dello spettacolo risalgono al luglio del 1957 e, dopo una rappresentazione di rodaggio a Washington D.C., l’esordio ufficiale sul palcoscenico di Broadway fu il 26 settembre 1957 al Winter Garden Theater (dove rimase in scena per 732 repliche!). Nonostante l’enorme apprezzamento (e i premi: Jerome Robbins e lo scenografo Oliver Smith vinsero il Tony Award), il vero successo di West Side Story arrivò tre anni e mezzo più tardi, solo dopo l’uscita del film di Robert Wise e Jerome Robbins che ottenne un successo monumentale vincendo 10 Premi Oscar: per la regia di Robbins e Wise, per le interpretazioni di Rita Moreno e George Chakiris, e ancora per la fotografia, il montaggio e molto altro. Grazie a questo successo, il musical iniziò a diventare un fenomeno culturale. 

4. Continui revival

West Side Story è stato oggetto di continui revival sia professionali (di cui 4 a Broadway) che amatoriali (sono innumerevoli le produzioni regionali nei teatri degli Stati Uniti e in tutto il resto del pianeta), oltre a svariati altri allestimenti rappresentati in cinema, licei e auditorium universitari, una versione punk rock, un one-woman show eseguito da Chere una rappresentazione al famosissimo Teatro alla Scala di Milano nel 2000. Il suo potere, come ha sottolineato Spielberg, “risiede in parte nella sua abilità di essere continuamente ricreato e reimmaginato”.

5. Il sogno di una vita per Spielberg

Dirigere West Side Story per Steven Spielberg era il sogno di una vita intera. Il regista, che fin da bambino suonava il clarinetto, è sempre stato un appassionato di musical: “mia madre suonava il pianoforte ed entrambi i miei genitori erano grandi appassionati di musica – ha spiegato il regista – io e le mie sorelle siamo cresciuti ascoltando il repertorio di mia madre: Schumann, Beethoven, Brahms, Chopin e Šostakovič. A 10 anni iniziai a collezionare album di colonne sonore cinematografiche. Non so chi avesse comprato l’album della colonna sonora di West Side Story, o se i miei genitori avessero già acquistato l’album inciso dal cast di Broadway: ricordo soltanto di essermene innamorato quando lo ascoltai per la prima volta. Da bambino conoscevo tutte le canzoni a memoria e le cantavo sempre a cena finché la mia famiglia non perse la pazienza. Queste musiche hanno sempre fatto parte del mio DNA. Anche se non sapevo come, mi sembrava inevitabile che un giorno sarei riuscito a lavorare a West Side Story”.

6. Lo scenario del film

Le vicende di questo nuovo film si svolgono nell’estate del 1957 nelle strade di due quartieri confinanti dell’Upper West Side, ovvero Lincoln Square (abitata dai discendenti di coloro che erano emigrati negli Stati Uniti durante il XIX secolo, prevalentemente dall’Europa) e San Juan Hill (popolata soprattutto da portoricani che avevano preso parte all’immigrazione di massa avvenuta in seguito alla Seconda Guerra Mondiale). Insieme, questi quartieri coprono l’area a ovest di Broadway, dalla West 60th Street alla West 70th Street fino ai confini della città sulle rive del fiume Hudson. Nei primi anni Cinquanta, Robert Moses, commissario delle opere pubbliche per la città di New York, rase al suolo questo intero tratto di terra per costruire il Lincoln Center for the Performing Arts e la Fordham University, tra le altre cose. A causa della distruzione di questi quartieri, quasi tutti gli abitanti dell’area furono costretti ad abbandonare le loro case.

7. La creazione di Valentina e il ritorno di Rita Moreno

Oltre a scavare in profondità nella storia della distruzione di Lincoln Square e San Juan Hill, lo sceneggiatore Tony Kushner ha disegnato un ritratto multidimensionale di ciascun personaggio, creando backstory individuali che motivano le loro azioni. Uno di essi è stato completamente reinventato: il gentile droghiere Doc che qui è stato trasformato nella sua vedova Valentina, una premurosa donna portoricana che fa amicizia con il giovane Tony. Fin dall’inizio, questo ruolo è stato scritto per Rita Moreno, che si è unita al progetto anche in qualità di produttrice esecutiva e che prese parte alla pellicola del 1961. Il suo personaggio, che qui canta magnificamente Somewhere, unisce così le generazioni intercorse tra i due film.

8. Un casting lungo un anno

Quello per West Side Story è stato (insieme a Schindler’s List – La lista di Schindler) il casting più vasto di Steven Spielberg: ha richiesto un anno intero e si è spinto fino in Australia, passando per New York, la Florida, la California, Porto Rico e vari paesi dell’America Latina. Per cercare gli interpreti (50 di loro in questo film hanno fatto il loro esordio assoluto), la produzione ha distribuito volantini per un’audizione aperta in ciascuna regione, allestendo degli uffici di casting in varie location e utilizzando i social media per spargere la voce in lungo e in largo. Steven Spielberg ha spiegato: “Abbiamo fatto qualcosa che nessuna delle altre produzioni era riuscita a fare. Tutti gli Sharks sono interpretati da uomini e donne latinoamericani o di origine latinoamericana. Non c’è nessuno che non sia latino. Per noi non esistevano alternative ed è anche per questo che il casting è durato un anno intero”.

9. Tony 

A vestire i panni del protagonista Tony è Ansel Elgort. – già visto in film come Il cardellinoBaby Driver – Il genio della fuga (candidato al Golden Globe) e Colpa delle stelle. Il giovane attore (che quando ha iniziato a fare le audizioni, era nel mezzo delle riprese di un altro film) non è stato scelto subito: “continuavo a inviare i video dei miei provini, a lavorare con il mio vocal coach e a ripetere continuamente le stesse audizioni per migliorare – ha spiegato – e alla fine ho ottenuto uno screen test. Ma non sono comunque riuscito a ottenere il ruolo. Quindi ho continuato a lavorare, a studiare con un insegnante di canto lirico e a mandare i miei provini, e alla fine ce l’ho fatta”. 

10. Maria

Anche la co-protagonista, nella parte di Maria, non ha ottenuto subito la parte. L’attrice latina di origini colombiane Rachel Zegler, qui al suo esordio assoluto, all’epoca dei casting frequentava l’ultimo anno delle superiori nel New Jersey: “la sera del 25 gennaio 2018 – ha raccontato – mi sono filmata mentre cantavo ‘I Feel Pretty’ in spagnolo e ho inviato il video. Due settimane dopo, mi hanno chiesto di mandare un altro filmato e soltanto a marzo ho incontrato Spielberg e sostenuto uno screen test”. Tuttavia, sono passati altri sei mesi prima dell’ingaggio ufficiale: “avevo perso le speranze, ma alla fine dell’anno mi hanno presa”. Riguardo al sua personaggio, rispetto al musical del 1961, Tony Kushner ha modificato il posto di lavoro di Maria: non è più impiegata in un negozio di vestiti da sposa, ma fa le pulizie di notte in un grande magazzino. Un posto meno romantico che però rispecchia maggiormente gli impieghi disponibili per una ragazza come lei. Circondata da vetrine e cartelloni che promuovevano lo stile dell’epoca (chic, sofisticato, grazioso, arguto e gioioso), la sentiamo cantare I Feel Pretty.

11. Altri personaggi

A differenza dei protagonisti, rispettivamente per i ruoli di Bernardo e Anita, gli attori David Alvarez e Ariana DeBose, sono stati contattati dalla produzione per inviare i loro provini. Nel caso di Alvarez, la responsabile del casting Cindy Tolan ha letteralmente “invaso di messaggi l’attore su Facebook, Instagram, Twitter: dopo due settimane, ha risposto e ci ha inviato un video della sua audizione: appena ce l’ha mandato l’abbiamo preso”. Stessa sorte anche per la DeBose, che inizialmente era riluttante ad accettare il ruolo. La Tolan e il suo agente, l’hanno convinta. Per interpretare il personaggio di Anybodys, quel maschiaccio nato nel corpo di una donna che si aggrega continuamente ai Jets sperando di essere accettato nel gruppo, è stata scelta una persona trans, Iris Menas. Nel cast c’è anche Maddie Ziegler, celebre ballerina (con la parrucca bionda) dei videoclip di SIA (che l’ha diretta, nel 2021, nel suo film Music).

12. Una lunga preparazione

La preparazione per il film è stata lunghissima e la produzione è iniziata cinque mesi prima delle riprese. Ogni mattina, per tutte le otto settimane delle prove, tutti i Jets, gli Sharks e gli attori principali seguivano lezioni di danza (cominciando con il riscaldamento alla sbarra, per assicurarsi che tutti mantenessero un fisico sano). E per immergersi nella New York del 1957 hanno preso parte a due tavole rotonde a tema storico, moderate dal produttore Kevin McCollum e composte da persone cresciute a Lincoln Square e San Juan Hill nel periodo in cui è ambientato il film. La storica Virginia Sánchez Korrol ha invece parlato a lungo con il cast della storia portoricana.

13. Prove… di riprese con l’iPhone

Se per la prima volta nella sua carriera Steven Spielberg aveva la musica già pre-registrata, la stessa cosa non si può dire delle riprese. Il regista ha iniziato a ideare le inquadrature e preparare gli storyboard dei numeri musicali molti mesi prima del primo ciak. A tal proposito un aneddoto divertente è raccontato dal coreografo Justin Peck: “Steven doveva pianificare una ripresa con il dolly, quindi si è seduto su una sedia da ufficio con le rotelle, tenendo in mano il suo iPhone: mentre il cast si esibiva, io lo spingevo attorno allo studio sulla sedia mentre lui riprendeva la sequenza con il telefono. Era un po’ come fare a pezzi le canzoni ed esaminare i numeri musicali a livello cellulare. Spingerlo per lo studio su una sedia è stato un momento surreale, volevo darmi un pizzicotto perché mi sembrava di sognare”.

14. Riprese e numeri musicali

Grandi protagonisti del film sono ovviamente i numeri musicali, ideati proprio da Justin Peck ballerino e coreografo del New York City Ballet. Uno di questi, Cool, si differenzia in modo sostanziale dalla versione originale di Robbins: invece di essere una semplice sequenza di ballo, il numero ora raffigura un diverbio tra Tony e Riff (Mike Faist), scatenato dalla pistola che Riff ha acquistato. Nel film originale la scena si svolge in un parcheggio sotterraneo, qui ci troviamo in cima ad alcune banchine al confine occidentale della città. Nella palestra della St. Thomas Aquinas è stata invece girata la coreografia Dance at the Gym, la più grande del film – con più di 60 ballerini e oltre 150 comparse – arricchita dai vivaci e variopinti costumi di Paul Tazewell. Se i Jets sono più “freddi” (con tonalità di blu e verde, foglia di tè e grigio), gli Sharks sono al contrario “caldi” (con colori oro, rosso, ruggine e l’arancione). A differenziarsi da tutti è Maria, che indossa un classico abito bianco: Tony la vede e se ne innamora.

15. America

Tra i balletti più celebri c’è America, che ha come protagonisti gli Sharks. Diversamente dalla versione originale, la sequenza si svolge di giorno invece che di notte, non su un tetto ma per le strade di San Juan Hill. Ci sono voluti più di 10 giorni (non consecutivi) per girarla: l’intero vicinato si riversa in strada per una festa di quartiere, una pachanga (uno stile di ballo caraibico originario di Cuba). La sfida più grande di America risiedeva non soltanto nella complessa coreografia di Peck e nelle tantissime location utilizzate (sparse tra Harlem, Hamilton Heights, Ridgewood, il Queens e Paterson, New Jersey), ma anche nel clima caldo e umido di New York durante l’estate. Per la maggior parte delle riprese le temperature hanno infatti raggiunto e persino superato i 32 °C.

16. Cantare La Borinqueña

Ad un certo punto del film – a differenza della versione originale del 1961 – dopo uno scontro con la polizia, gli Sharks, abitati dal fervore nazionalista portoricano, per reclamare il proprio territorio cantano con sprezzo la canzone rivoluzionaria La Borinqueña, un inno portoricano che esprime l’atteggiamento militante di Bernardo nei confronti della discriminazione. È completamente inaspettato. La canzone è stata scritta nel XIX secolo per celebrare una delle prime rivolte per l’indipendenza portoricana nel 1868. All’epoca la canzone fu dichiarata fuorilegge e la bandiera portoricana venne bandita. 

17. Lo scontro finale nel magazzino del sale

Il confronto finale tra Jets e Sharks, che finisce in tragedia, è stato girato al cantiere navale di Brooklyn, la Navy Yard. Invece di ambientare lo scontro sotto la West Side Highway, Spielberg ha avuto l’idea di farlo svolgere in un magazzino per il saleappartenente al Dipartimento della Sanità, situato vicino alla rampa di uscita dell’autostrada (qui il sale veniva conservato durante l’estate per poi essere utilizzato sulle strade in inverno).

18. Tonight, come Romeo e Giulietta

Concludiamo questo viaggio con la sequenza dell’estatico incontro tra María e Tony sulla scala antincendio del caseggiato della ragazza, dove, ansiosi di conoscersi, cantano l’euforico duetto Tonight. Questo romantico momento è stato girato agli Steiner, non in un teatro di posa ma all’interno di un magazzino dello studio, lo stesso luogo in cui sono stati costruiti tutti i set. Spielberg voleva un edificio molto alto (circa 14 metri) perché voleva che Tony salisse sempre più in alto sulla scala antincendio cantando il brano a Maria, quasi come se si stesse arrampicando a mezz’aria. Sostanzialmente era la trasposizione della famosa scena del balcone di Romeo e Giulietta. È stata l’ultima sequenza: le riprese si sono ufficialmente concluse pochi secondi dopo la mezzanotte, nei primissimi minuti di sabato 28 settembre 2019, dopo 16 settimane di un lavoro durissimo e che ci regalerà grandi emozioni.

Vogue.it

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