Benjamin Mascolo, la sua reazione alla malattia e le sue paure raccontate in Ben: Respira

Benjamin Mascolo, la sua reazione alla malattia e le sue paure raccontate in Ben: Respira

Abbiamo intervistato Benji, alias Benjamin Mascolo, alias B3N, che ci ha raccontato il suo documentario Respira, disponibile su Prime Video. Un film in cui racconta la sua reazione a una malattia debilitante, le sue paure e il suo odio amore per la corsa

“Nel futuro vedo una mia famiglia, è il mio sogno più grande per i prossimi anni. Voglio esserci per i miei figli, quando arriveranno e quando sarà il momento, non voglio essere un padre assente”. Benjamin Mascolo è molto cresciuto, rispetto agli anni in cui irrompeva nel mondo dello spettacolo nazionale. Con Fede, Benji ha venduto milioni di album, è diventato un fenomeno sui social e fra i giovani, ma ora arriva una nuova fase della sua vita professionale, e personale. Una fase segnata dal rapporto con Bella Thorne, con cui ha esordito come attore e presto farà una famiglia.

Ha rallentato nel lavoro, infatti, visto che con la sua fidanzata Bella Thorne si sposerà presto, dopo aver fatto la sua proposta l’ultimo giorno di riprese di Time is Up, il loro film insieme, come raccontato in un documentario, disponibile su Amazon Prime VideoBen: Respira è un Amazon Original su Benjamin Mascolo, che parte dall’esperienza traumatica della malattia per svelare le sue ambizioni, le difficoltà e gli ostacoli che ha incontrato nel suo percorso per raggiungere un sogno, ma anche la sua determinazione e forza di volontà per superarli, raccontando anche le sue relazioni più profonde e i valori a lui più vicini, come l’amicizia, la famiglia, l’amore. Nel cast, accanto al cantante conosciuto e amato con il nome d’arte B3N, anche la sua futura moglie Bella Thorne. Un lungo viaggio fra l’Italia, Los Angeles e New York, attraverso la vita di uno dei più talentuosi giovani artisti italiani, raccontandone le sfide, i successi e i sogni.

“Questo è un film di Gianluigi Carella”; ci ha raccontato Benji nel corso di un’intervista via zoom. “Io ho prestato la mia storia, il mio corpo e i miei principi, ma il documentario è suo a livello artistico. Sono scelte sue, per me bellissime, che mi hanno reso orgoglioso. Non avrei mai voluto un documentario diverso, sono veramente contento del risultato. Mi ha ritratto in una maniera bella, dinamica e moderna. In questo caso c’è stata una comunicazione magica con lui, mi ha capito benissimo. Dopo sei anni di una malattia che mi ha cambiato la vita e mi ha fatto sentire anche mentalmente più fragile, in cui non potevo fare neanche tre rampe di scale senza avere il fiatone, era arrivato il momento di affrontarla e vedere se riuscivo a ripartire, tornando il Benjamin che era in grado di fare sport. In primis è stata una sfida personale, poi mentre mi allenavo è venuta l’idea di rendere quello che facevo un messaggio positivo per una serie di persone. In inglese si usa il termine lead by example, qualcuno poteva sentirsi ispirato dalla mia battaglia personale per combattere una sua, magari completamente diversa. Se sono in grado io di affrontare i miei demoni, spero di poter ispirare altri a farlo. L’idea di fare un dietro le quinte nasce da questo.

Il rapporto con Bella Thorne

La ricerca dell’equilibrio è un lavoro costante, durerà tutta la vita, un tendere verso quello che fa felice te e le persone che ami. Alle volte ti porta anche a sbattere la testa e a farti male. La cosa bella del rapporto con la mia fidanzata, Bella, è che siamo molto diversi, ma ci rispettiamo. Io le porto un pizzico di ordine e stabilità, lei di caos e quel po’ di follia che mi fa bene come artista, altrimenti rischio di irrigidirmi troppo. Bisogna mantenere un’apertura verso il mondo, che lei mi dà ogni giorno. Allo stesso modo lei ha bisogno di una figura come me che la trascina anche nella direzione opposta. 

La vita privata va condivisa sui social?

Io e Fede siamo diventati famosi con i social, dieci anni fa su Facebook. Ho sempre condiviso tutto, mi sembrava naturale, era un modo per me di avvicinarmi. È sempre stato stupendo, ma crescendo mi rendo conto di dover tenere qualcosa di privato per me e le persone che amo. Abbiamo molti occhi addosso, il che ci dà molto, ma toglie anche. Alcuni momenti vanno protetti, non tutti sono ben disposti nei tuoi confronti. Avrò sempre interazione con le persone e il mondo reale, ma non tutto. Voglio usare i social scegliendo bene il messaggio da mandare, il resto lo tengo per me.

Le paure di Benjamin Mascolo

Ci sono tante cose che mi spaventano, la principale è la paura di non essere amato, poi quella di deludere me stesso, di non essere all’altezza dell’uomo che posso e voglio essere, di essere una versione minore, più debole. Non esiste una persona che non abbia paura, un’emozione che ha il potere di immobilizzarti. Ma non devi mai fermarti, devi andare avanti. La corsa mi ha insegnato questo, ci sono giorni in cui tutto mi diceva che non avrei dovuto e potuto correre, provando a razionalizzare mille motivi per non farlo. Ma devi farlo e basta. Ho un lavoro incredibile che mi dà tanto, ho la responsabilità di rispettare la mia fortuna. 

Lo sport per B3N

Ero molto forte a giocare a calcio, poi verso i 13 anni mi sono reso conto che avrei dovuto sacrificare tutto per diventare un calciatore, la musica e il tempo libero. In quel momento mi sono reso conto che non ero disposto a farlo. Una cosa che ha fatto crescere la mia ammirazione per gli atleti, che sono molto ben pagati, ma per farlo anche vissuto una vita piena di dedizione, una lotta con sé stessi. Dopo la malattia che mi ha fatto soffrire tanto mentalmente e fisicamente, mi sono chiesto quale fosse la cosa che mi fa sentire più scomodo, e per me era correre. Faccio schifo e ancora fatico tanto e lo odio, in un certo senso. Proprio per questo era giusto la affrontassi.

Il rapporto con i genitori

I miei genitori ci sono sempre stati, ma non mi hanno mai detto quello che dovevo fare. Il loro ruolo era portarmi a lezione di musica, regalarmi una chitarra a 8 anni, ma senza mai forzarmi. Per questo sarò loro per sempre grato, non mi hanno imposto la pressione delle alte aspettative dei genitori, che quando sei molto giovane può farti del male, portarti a diventare bravo, ma con del risentimento. Non mi hanno mai giudicato quando sentivano che stavo per mollare, sarebbero rimasti al mio fianco per qualsiasi scelta avrei compiuto, ovviamente pensandoci bene. È un dono incredibile.

Il talento non è niente senza il lavoro

Una come Messi è un fenomeno, ma ci sono sicuramente persone di talento che non ce l’hanno fatta perché non si dedicano a sufficienza. Penso a Cristiano Ronaldo, che sicuramente ha un dono, ma è soprattutto quello che lavora di più in uno sport che ha standard altissimi. Il talento è ampiamente sopravvalutato e i social in questo sono pericolosi, fanno sembrare tutto facile, non fanno vedere i sacrifici il lavoro del dietro le quinte. Nel mio piccolo, quando giravo il film mi svegliavo tre o quattro volte alla settimana alle 5 del mattino per andare a correre, con la pioggia, poi due ore dopo andavo sul set per dodici ore a lavorare. Lo facevo perché era giusto farlo, ma non è che postavo le corse all’alba sui social. Le persone vedono il risultato finale, e pensano che magari sia perché gli viene facile, come scrivere un album. Manca quello che c’è dietro, è il pericolo dei social. Il duro lavoro è cento volte più importante del talento, fa la differenza fra chi ce la fa e chi no, insieme alla fortuna, che è cieca, può voltarti le spalle. Dalla tua parte devi sempre svegliarsi all’alba per lavorare.

Il ricordo della malattia per Benjamin Mascolo

Non avevo mai fatto una conversazione in profondità con mia madre come quella che emerge dall’intervista che c’è nel documentario. Ho scoperto molto di lei e di me stesso che non sapevo. Mi ha anche aiutato anche ad avvicinarmi ancora di più alla mia famiglia, con cui ho un bellissimo rapporto. Probabilmente per rimuovere il trauma, avevo dimenticato alcune cose. Non mi ricordavo quanto i miei genitori soffrissero nel vedermi attaccato a un respiratore e non sapevano per quasi tre settimane la diagnosi della malattia. Mi hanno fatto mille test senza scoprire niente, fino a che mi hanno fatto una biopsia polmonare entrando tramite il naso, prendendomi un pezzetto di polmone. Non mi rendevo conto di cosa stesse succedendo, sapevo solo che ero sul letto e non riuscivo a muovermi, con una macchina di ventilazione per respirare. Quando sono uscito non è che i miei mi abbiano preso da parte dicendomi quello che mi era successo. Fare il documentario mi ha permesso anche di capire cose che non avevo realizzato neanche io.

Comingsoon.it

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