Tanti abbracci, sorrisi, affetto, aneddoti, ricordi e battute mescolate a riflessioni sul cinema e non solo, hanno scandito l’incontro al Cinema Troisi tra Paolo Sorrentino e uno dei suoi ‘maestri’, un cineasta libero e unico come Antonio Capuano, al quale la sala romana restaurata e gestita dai ragazzi del Cinema America dedicano un omaggio.
Un legame che quello tra i due registi, che dura da quasi 25 anni, nato nel 1998, quando Capuano chiese all’allora 28enne Sorrentino di scrivere con lui la sceneggiatura di Polvere di Napoli, che ha aperto oggi la retrospettiva. “Antonio non è accomodante, non ti lusinga, e questo mi è stato di un’utilità incredibile- spiega il regista de La grande bellezza nell’ora dialogo moderata da Malcolm Pagani -. Il rapporto tra noi è basato sul conflitto e lo trovo molto bello e sano. Ad esempio quando tentavo di fare il mio primo film, L’uomo in più e gli raccontavo qualche scena che avevo in mente non gli andava bene nulla. Aveva anche ragione, perché dicevo le classiche ingenuità di un aspirante regista. E’ stato importantissimo e fondamentale per me, perché non è facile trovare persone senza peli sulla lingua come lui. Antonio mette alla prova la tua forza e la tua capacità di reazione”.
Un punto di riferimento presente anche come personaggio (interpretato da Ciro Capano) nel suo ultimo film, l’autobiografico E’ stata la mano di Dio (in uscita il 24 novembre), scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar. “L’ho un po’ reinventato, ho cercato di rappresentarlo, non so quanto ci sia riuscito. Non era importante fare la copia di Capuano ma rendere il modo in cui lo percepisco e lo ricordo”. Ed “è la cosa giusta da fare” commenta l’amico. Capuano che non ha ancora visto il film ( “aspetto di guardarlo al cinema”) è rimasto sorpreso dalla decisione di Sorrentino di raccontarsi: “Non mi aspettavo che Paolo facesse un film così reale, sui posti e le persone che hanno segnato il suo itinerario… magari – dice sorridendo – l’avrei dovuto scrivere con lui”.
ANSA