Il regista Mordini: “Censura immotivata”
Un film lacerante e necessario, “destinato ai giovani”, nelle intenzioni del regista Stefano Mordini, che arriva però in sala giovedì 7 ottobre con il divieto ai minori di 18 anni. Già fuori concorso alla Mostra di Venezia, La Scuola Cattolica, tratto dal libro omonimo di Edoardo Albinati Premio Strega nel 2016, che racconta il massacro del Circeo, una tragedia simbolo della violenza di genere e insieme spartiacque nel cammino di emancipazione delle donne – aprì un dibattito che di sarebbe concluso nel 1996, quando la violenza sessuale passò dall’essere considerata reato contro la morale a crimine contro la persona – ha avuto l’indicazione alla visione per un pubblico di soli maggiorenni dalla commissione per la classificazione delle opere cinematografiche.
“Una censura senza valide ragioni”, sbotta il regista, mentre anche i familiari di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, umiliate e seviziate nella notte tra il 29 e il 30 settembre 1975 dai ricchi fighetti dell’estrema destra Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, che uccisero Rosaria e risparmiarono loro malgrado Donatella fintasi morta, accolgono con “grande sorpresa” la decisione. Nel mirino della commissione, la “narrazione filmica che ha come suo punto centrale la sostanziale equiparazione della vittima e del carnefice”. Una lettura “che appare dalle immagini, assai violente negli ultimi venti minuti” e che “viene preceduta, nella prima parte del film, da una scena in cui un professore, soffermandosi su un dipinto in cui Cristo viene flagellato, fornisce assieme ai ragazzi, tra i quali gli omicidi del Circeo, un’interpretazione in cui gli stessi, Gesù Cristo e i flagellanti vengono sostanzialmente messi sullo stesso piano”.
Un’interpretazione dalla quale prende nettamente le distanze Mordini: “Questo è esattamente il contrario di quello che racconta il film, e cioè che, provenendo dalla stessa cultura, è sempre possibile compiere una scelta e non deviare verso il male. Una delle due vittime, all’epoca, era minorenne e il nostro è un film di adolescenti interpretato da adolescenti. Trovo assurdo che oggi si vieti ai ragazzi anche solo di vedere, attraverso un libero mezzo di espressione, quello che due ragazze come loro anni fa hanno subito, questo atto censorio priva una generazione di una possibile presa di coscienza che potrebbe essere loro utile per difendersi da quella violenza spesso protagonista nella nostra cronaca. E questo perché alcune delle ragioni di quella tragedia sono purtroppo ancora attuali”. Anche Letizia e Roberto, la sorella di Rosaria Lopez e il fratello di Donatella Colasanti, nonostante il trauma incancellabile, “hanno apprezzato nel film la volontà di tramandare, anche in chiave di ammonimento per il futuro, la memoria della loro tragedia, soprattutto alle giovani generazioni”, fa sapere il loro avvocato.
“Sgomento” per il divieto anche Albinati, autore del libro e compagno di scuola dei tre violentatori, quello stesso San Leone Magno al quartiere Trieste di Roma, la scuola cattolica appunto, allora tutta maschile, che fu l’ambiente in cui maturò tutto: “Da spettatore del film trovo quanto meno singolare che a ragazzi e ragazze, che sono purtroppo abituati a conoscere ogni genere di violenza, perversione, oscenità attraverso tutti i mezzi a loro disposizione, venga proibito conoscere la ricostruzione di una storia vera”. Sulla stessa linea il commento del presidente dell’Anica Francesco Rutelli, che chiama in causa il ministro della Cultura Franceschini che ad aprile aveva annunciato lo stop definitivo alla censura cinematografica: “Purtroppo gli annunci di abolizione della censura non hanno trovato riscontro in una procedura che – spero per poche settimane – è ancora in vigore. Mentre i nostri giovanissimi possono accedere attraverso il web a contenuti violenti e veramente indegni, opere dell’ingegno vengono assoggettate a pareri occhiuti e fuori dal tempo”. In realtà – spiegano dal ministero della Cultura – non esiste più il divieto assoluto di uscita in sala né l’uscita condizionata a tagli o modifiche, ma resta in piedi – come in altri Paesi – un sistema di classificazione delle opere che dà la possibilità di vietare la visione a determinati pubblici. Quanto al decreto firmato da Franceschini ad aprile, che ha istituito appunto la commissione per la classificazione delle opere cinematografiche, il regolamento che ne disciplina il funzionamento attende ad horas il via libera del Consiglio superiore del cinema e dell’audiovisivo.
Ansa.it