A 20 anni da morte Ferruccio, il figlio tra ricordi ed eredità
“Oggi sono andato a a fare benzina e il titolare mi ha tenuto 30 minuti a parlare di papà. Aneddoti, curiosità, si ricordava ancora della folla ai suoi funerali nella chiesa degli artisti di Piazza del Popolo, ma soprattutto mi ha rammentato quanto fosse sempre disponibile, cordiale, generoso, nel quartiere.
Tu sei bravissimo, Claudio, mi ha detto, ma Ferruccio è nella memoria di tutti”. Cinquantasette anni, quasi quaranta di carriera, due volte figlio d’arte (Ferruccio Amendola e Rita Savagnone), Claudio Amendola, interpellato al telefono dall’ANSA, conferma il grande amore per il padre Ferruccio morto a Roma esattamente vent’anni fa, il 3 settembre 2001.
Ferruccio Amendola è stato attore, doppiatore e direttore del doppiaggio. È noto soprattutto per aver prestato la voce a divi di Hollywood come Robert De Niro, Al Pacino, Sylvester Stallone, Dustin Hoffman in alcune significative interpretazioni. Ha lavorato per il cinema e la televisione. “Aver avuto un padre come lui fa sì che posso rivederlo spesso e come doppiatore posso risentirlo. Un suo film lo becchi sempre a occhi chiusi, non c’è verso, anche se cambiava timbro per ogni ruolo, era un perfezionista, uno stakanovista”. Tanto che, aggiunge l’attore e regista romano, quando è morto, “abbiamo ricevuto una bellissima lettera di una signora arrivata tramite l’associazione non vedenti: ci teneva a ringraziare Ferruccio, perché con la sua voce e i suoi film era come se in quei momenti le avesse restituito la vista, ogni volta lo riconosceva”. Durante la sua carriera Ferruccio, deceduto a 72 anni, ha recitato a fianco dei più grandi attori del nostro panorama cinematografico. Ma è stata la sua voce a renderlo un personaggio. E’ diventato il re dei doppiatori. Poi ci sono stati alcuni spot pubblicitari e “quelli che un tempo chiamavano sceneggiati” come “Storie d’amore e d’amicizia”, “Quei trentasei gradini” , “Little Roma” e “Pronto Soccorso”. Hanno avuto grande successi.
Il figlio Claudio lo ricorda così: “Lo devo ringraziare: mi ha regalato un mestiere, ho iniziato che ero un ragazzino, avevo 18 anni. Mi ha sempre lasciato libero nelle mie scelte, ma ha saputo trasmettermi il rigore, il rispetto per il lavoro e il pubblico: sono prioritari, diceva, sennò non vale niente. E’ stato fondamentale fare le cose in modo sempre professionale al massimo, poi certo uno cresce, migliora, ma il suo è stato sempre un esempio da seguire. E’ stato un uomo che ha avuto un grande successo ma se lo è sudato e meritato”. Ci sono film o o attori che ha doppiato suo padre che lei preferisce? “L’attore preferito di papà – risponde Claudio – era Robert De Niro, per me forse il film è C’era una volta in America, con battute che per molti di noi sono intramontabili. Poi De Niro lo ha anche ringraziato pubblicamente. Comunque lui è stato sempre un passo indietro, faceva parte della vecchia scuola di doppiatori che non cercavano clamore ma solo di fare bene il loro mestiere. Poi ci sono, certo, Al Pacino, Hoffman, in particolare la vocina di Tootsie grandiosa, si è divertito molto anche moltissimo con Tomas Milian. Una volta ha avuto difficoltà con Stallone in Rocky 3 quando doveva parlare con la mandibola tutta storta, non era affatto facile capirlo e rifarlo, ma è venuto fuori un lavoro eccellente”. Poi, aggiunge Amendola, “non è che dobbiamo fare i santini: papà è uno che la vita l’ha vissuta, se l’è goduta, è andato via per un brutto male troppo presto, ma ci ha lasciato tanto soprattutto è stato anche precursore di una scuola di doppiaggio che prima non c’era”.
E’ un momento lavorativo intenso per Claudio Amendola, amatissimo dal pubblico di cinema e tv: è in sala da alcuni giorni con il sequel Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto, e riprende il ruolo in maniera gustosa, tra nuovi tatuaggi e l’insperato aiuto dato alla ex Monica, alias Paola Cortellesi. “Poi ho appena consegnato la nuova stagione della serie Nero a metà che andrà in onda credo a gennaio”. Infine aspettiamo l’uscita in sala dei “I Cassamortari”, “la mia terza regia, una black comedy con Gianmarco Tognazzi e Massimo Ghini”.
Ansa.it