Valeria Golino, la nostra attrice più amata, l’unica ad aver vinto due volte la Coppa Volpi a Venezia, è una strega nel film di Claudio Cupellini che porta al Filming Italy Sardegna Festival.
Titolo?
«“La terra dei figli”. È distopico, post apocalittico. È la storia di formazione di un ragazzino. Io sono la strega, brutta, cieca, i capelli grigi, le rughe, le macchie».
Com’è imbruttirsi?
«È sempre più bello, ti deresponsabilizza dall’essere sempre attraente. Quella strega è anche una brava persona. Come attrice cerco di uscire dalla comfort zone, nella vita non la faccio come scelta, non è consapevole perlomeno. A vent’anni mi vedevano più scontrosa e musona di quello che sono, invece ero piuttosto mansueta».
È tornata da Cannes.
«Ho premiato Leos Carax che però non c’era e non lo sapevo. Hanno detto che aveva il mal di denti, sì d’accordo fa male, ma non mi sembra una scusa adatta al Festival. Vedendo i suoi film, forse fa parte della sua umoralità».
E cos’ha pensato della foto su Cannes di Nanni Moretti?
«Invecchiato di colpo perché non ha vinto lui ma una donna incinta di una Cadillac… L’ho trovato spiritoso, è davvero lui. Ha aspettato un anno, ma non è che ti premiano perché hai aspettato. Sono curiosa di vederlo, come “Titan”, ma se devo pensare che ha vinto non perché bello ma perché è di una donna, mi mortifica. Siamo in un malinteso, parlare di minoranze può essere subdolo, crea solo divisione, un altro ghetto fatto per essere reso fruibile sul mercato. Sono stufa di cosa si può dire e cosa non si può dire. Attendo impaziente la fine del politically correct. Io come libera cittadina pretendo libertà di espressione».
E poi di nuovo a Venezia.
«La scuola cattolica di Stefano Mordini è in predicato di andare, non è sul caso atroce del Circeo del 1975, ma su tutto quello che c’era stato prima del massacro, che si vede, ma il fulcro è l’atmosfera per cui una cosa così sembra possibile nella testa di chi la fa. Io sono la mamma di uno di quei ragazzi borghesi. Siamo tutti genitori, io Jasmine Trinca, Riccardo Scamarcio, Valentina Cervi… Una volta ci chiamavano per fare i figli. È la vita. Ci faranno fare i nonni».
Ripensa mai a quando, da ragazza, cominciò?
«Dopo trenta anni ho rivisto “Piccoli fuochi” in una serata per ricordare Peter Del Monte. Ero bellissima! Non me lo dicevano abbastanza. E Peter, al di là del dolore della perdita, lui è sinonimo della dimenticanza in cui tutti nuotiamo in questo eterne presente>.
È da poco tornata da Los Angeles.
«A gennaio era lugubre, sirene e nessuno per strada. Poi come accade in USA dai peggiori momenti tutto diventa presto quasi normale. Ho fatto per Apple tv la serie “The Morning Show 2” che si vedrà a settembre. In America ho girato 18 film. Per “Rain Man,” dopo undici provini, capii di essere stata presa quando Dustin Hoffman mi chiese: ora che auto noleggerai qui?».
Tante soddisfazioni e alcuni provini andati male.
«Per “Pretty Woman” feci otto mesi di audizioni, rimasi io e Julia Roberts, aspettavamo in minigonna di recitare la stessa scena. Dove davvero ci rimasi male è “Ghost”. Presero Demi Moore, che era perfetta. Non ho perso per attrici meno brave di me. Sono popolari e americane, scelte per ruoli americani».
Ma com’è fare provini?
«Io non li faccio da vent’anni. Mi sono liberata. Non voglio dire che non li rifarei se è indispensabile. Ma dirti che mi piace, no. E’ pesante anche quando li faccio io come regista. Gli attori vengono messi in una condizione non bella, sei sotto esame e non sei al tuo meglio».
Cos’altro?
«Ho fatto un film inglese su un torneo di calcio dei senzatetto di tutto il mondo, che si fa veramente. Poi L’arte della gioia come regista dal romanzo di Goliarda Sapienza».
Il Papa parla di cinema…
«Non lo sapevo, che bello. Sono molto disinformata, ci tengo a dirlo, ero satura di sapere cose estemporanee».
Valerio Cappelli, corriere.it