“Il talento di essere nessuno” un titolo emblematico per il libro di Luca Ward (Sperling & Kupfer) che di cose nella vita ne ha fatte in realtà molte. Iniziando dal suo primo lavoro quello di doppiatore, che lo ha portato all’attenzione del grande pubblico. Russell Crowe nel ‘Gladiatore’, Samuel L. Jackson in ‘Pulp Fiction‘ o Pierce Brosnam in ‘James Bond‘, solo solo alcuni degli attori a cui ha prestato la sua incredibile voce. Ma non solo. Anche la sua carriera d’attore gli ha regalato un certo prestigio, ponendolo tra i personaggi italiani più amati. Eppure parlando con lui in questa lunga intervista, quello che viene fuori è sì un uomo molto battagliero e sempre pronto a scendere in campo per il sociale, ma estremamente severo con sè stesso e con il proprio lavoro, che nella vita guarda più al sodo che alla fama.
Mi ha colpito il titolo del suo libro: “Il talento di essere nessuno”. In realtà di cose ne ha fatte molte. A parte la sua carriera lavorativa, parlo anche dell’impegno che ha sempre profuso nei confronti del sociale.
“Ho 60 anni e parlando di questo tema comincio a diventare veramente intollerante per quello che succede nel nostro Paese. Cose che definisco stucchevoli e pericolose. Credo bisogna tornare a partecipare e a scendere nuovamente in piazza, altrimenti verremo schiacciati da questo sistema”.
Cosa la spaventa di più, la poca partecipazione popolare o la sopraffazione da parte di chi ha il potere?
“Il fatto di non essere immortale. Sono padre di tre figli e prima o poi dovrò lasciarli e non voglio farlo nelle mani sbagliate. Noi italiani dobbiamo svegliarci, non possiamo sempre fare spallucce. Siamo un Paese culturalmente elevato, veniamo dall’Impero”.
Secondo lei esiste una manovra da parte dei poteri forti? In caso, quale sarebbe lo scopo?
“Sembra tutto fatto apposta per mandare in default alcuni paesi europei e questa cosa cominciano a pensarla in molti. Faccio parte della generazione che l’Europa l’ha voluta, ci siamo battuti per l’unione dei popoli e lo abbiamo fatto con grande spirito di partecipazione. Però non volevamo questa Europa a cui hanno modificato il dna. Dobbiamo combattere i poteri forti come quelli delle banche che fanno solo i propri interessi. Della società o del sociale non gli interessa nulla e lo dimostra il fatto che con questa pandemia sono stati chiusi i corridoi sanitari. L’Europa deve ritornare ad essere quella per cui è nata a Ventotene. Noi, la Spagna, il Portogallo e la Grecia siamo gli stati del sud e al massimo possiamo fare unione tra di noi, ma con quelli del nord abbiamo poco a che spartire. Per fare un esempio personale, la Francia mi ha chiuso le porte in faccia quando mia figlia doveva andare a fare un intervento importante a Lione”.
Che tipo di problema ha avuto?
“Da nove anni mia figlia Luna era in cura all’ospedale di Lione perché ha la Sindrome di Marfan (una malattia rara ereditaria del tessuto connettivo che causa alterazioni oculari, ossee, cardiache, dei vasi sanguigni, polmonari e del sistema nervoso centrale. ndr). Solo in Francia fanno un busto anti-rotazione della colonna, che le avrebbe permesso di arrivare alla fine dello sviluppo e poi operarsi. È un’assurdità che un Paese come l’Italia non si riesca a farlo. Voglio fare un parallelo: all’inizio della pandemia tutti chiedevano a gran voce i vaccini ma ci dicevano che ci sarebbero voluti anni. Sono arrivati soldi a fiume e in otto mesi la ricerca è riuscita a fare miracoli. Questo per dire che se i soldi ci sono, la ricerca è veloce e non solo sui vaccini ma anche per altre malattie. Allora perché in Italia non diamo soldi alla ricerca visto che siamo gli ultimi Europa. Questo è inaccettabile. Quando per il Covid a marzo dello scorso anno hanno chiuso i corridoi sanitari, di fatto hanno impedito sia a me, ma anche a centinaia di altri malati che dovevano per forza maggiore curarsi all’estero, di non poterlo fare. La cosa più assurda è che la Carta Europea del malato, che è stata creata negli anni ’50, parla molto chiaro: neanche in caso di conflitto atomico si possono chiudere i corridoi sanitari perché è una cosa criminale. Invece in barba a tutto così è successo”.
Nessuno nel nostro Paese è intervenuto? Non dico solo per lei, ma per tutti quelli che avevano necessità di salute importanti come quelle di sua figlia.
“Il vice questore di Roma mi aveva dato la possibilità di partire, dicendomi però che in Francia avrei trovato le porte chiuse. Aveva ragione perché anche il professore di Lione che ci aveva in cura, ci ha confermato la stessa cosa al telefono: neanche gli infermieri avrebbero toccato mia figlia in caso fossimo partiti. Questa storia non avrei mai voluta raccontarla, l’ho fatto nella speranza che se mai dovesse succedere di nuovo non si agisca come è stato fatto a marzo”.
Com’è ora la sua situazione?
“Questo tipo di intervento doveva essere fatto a fine crescita, ora invece mia figlia sarà operata all’Ospedale Bambino Gesù che per fortuna è un’eccellenza, con professori che il mondo ci invidia. Nonostante le incognite siamo quindi relativamente tranquilli, però se non ci fossero state la chiusura dei corridoi sanitari, Luna poteva non essere operata e magari aspettare fino alla fine dello sviluppo, come era nei piani”.
Parlando di diritti, lei è sceso in campo anche per un’associazione: la ‘NuovaImaie’.
“È una cosa a cui tengo molto. La ‘NuovaImaie’ è un’associazione che difende gli artisti a livello gratuito. Oggi è diventata la seconda collecting al mondo per il diritto connesso, ovvero la redistribuzione dei diritti per gli attori, autori e cantanti, per questo fa gola a molti. Nella mia carriera non mi sono mai iscritto ad un sindacato e non ho mai fatto parte di una fazione politica, ma quando ho capito che poteva succedere quello che è accaduto dieci anni fa, quando era finita in mano a tipi loschi che l’avevano fatta fallire, allora mi sono deciso e mi sono candidato nella lista 3. Ci tengo affinché la ’NuovaImaie’ continui a lavorare come ha sempre fatto, tutelando gli iscritti in modo onesto. Non vogliamo interferenze e siamo pronti a dare battaglia a chiunque voglia tentare di fare la scalata. Mi auguro che gli artisti che ne fanno parte se ne rendano conto”.
Cambiando argomento, secondo lei come è stata gestita la pandemia?
“Non posso dire se sarei riuscito a fare di meglio, siamo stati travolti da una cosa nuova e ci sta fare qualche errore. Però dopo il primo momento di smarrimento reiterare sugli sbagli è una cosa grave. Di sicuro molte cose potevano essere fatte diversamente. Penso che se non si è in grado di portare avanti un compito è meglio lasciare. Invece la cosa terribile che succede in italia è che anche di fronte agli errori nessuno si prende la responsabilità”.
Tornando al libro da cosa nasce questo suo desiderio di mettersi un po’ a nudo?
“Per caso. Me lo ha chiesto Mondadori perché in base ad una ricerca che avevano fatto, sono risultato al primo posto nel gradimento degli italiani. All’inizio ho rifiutato perché il mio lavoro è un altro. Sono un bravo marinaio, faccio doppiaggio e recito, ma non sono uno scrittore. Poi però ci ho riflettuto e ho pensato che la mia storia potesse essere d’aiuto per qualcuno, soprattutto per i giovani che a mio parere non sono aiutati. L’ho fatto con questo intento. Ho chiesto aiuto ad un bravo giornalista come Mariano Sabatini che mi ha indirizzato nella stesura e nel modo di raccontare la mia storia”.
Quanto è stato terapeutico per lei scrivere questo libro, rivivendo magari le problematiche di vita di cui racconta?
“A 60 anni capita di tirare un po’ le somme. Mi sono sempre considerato come qualcuno che non ha fatto grandi cose e ho sempre pensato che in tanti ambiti avrei potuto fare di più. Invece rileggendo il libro mi sono detto che tutto sommato non è andata così male. È vero sono molto critico con me stesso, ma ho capito che il mio percorso non era tutto da buttare. Scriverlo e rileggerlo mi ha fatto bene allo spirito e mi ha riappacificato con me stesso”.
Ha avuto il talento di essere nessuno, in realtà quel ‘nessuno’ è riuscito a scrivere in qualche modo una storia a lieto fine.
“Sì, perché nella vita servono anche le ripartenza e questo libro io l’ho sto usando per questo: ripartire un’altra volta”.
Ci sono cose che non ha fatto e che invece con questa ripartenza vorrebbe approfondire?
“L’idea è sicuramente quella di fare cose nuove e oggi la possibilità esiste. Si sono affacciati nel nostro Paese nuovi produttori, parlo di Netflix e Amazon con progetti belli, innovativi e soprattutto internazionali, cosa che manca ai nostri italiani. Vediamo, magari mi metterò a fare il documentarista”.
Dopo questo suo approccio alla scrittura magari una sceneggiatura?
“Sì, potrebbe. Non farei mai il regista perché non mi piace, ma magari lo scrittore di sceneggiature sarebbe bello”.
Lei ha doppiato personaggi importantissimi ce n’è uno a cui è legato particolarmente?
“Sicuramente il “Gladiatore” perché inconsapevolmente mi ha riportato a fare televisione. Noi doppiatori siamo sempre stati un po’ banditi dalla tv perché considerati non attori, e questo è uno sbaglio. Non parlo solo per me, ma ci sono centinaia di doppiatori straordinari che hanno fatto teatro, ed è un peccato che non vengano utilizzati nel cinema e nella tv. Alla fine vediamo sempre le stesse facce”.
Sarà forse perché vengono scelte le facce piuttosto che gli attori?
“Non lo so, ma per Sergio Leone non era così”
Visto che ne doppia molte, quali sono le serie tv che l’hanno particolarmente colpito?
“Mi è piaciuta molto ‘The Undoing – Le verità non dette’ , perché ho visto Hugh Grant fare il killer e non me lo sarei mai aspettato. Quando l’ho doppiato non conoscevo la storia, perché le parti arrivano man mano. Quando sono arrivato al quarto episodio ho detto: ‘Ma è lui il killer!’. Per me è stata una sorpresa e mi ha colpito la sua bravura come attore drammatico visto che ha sempre rappresentato un po’ la commedia, e in quella serie si è dimostrato straordinario. Poi c’è ‘Barbarian’ un’altra serie tedesca molto bella. Anche ‘Viking’, ma purtroppo ha un doppiaggio orribile. Netflix a volte dà per scontato che in Italia il doppiaggio lo sanno fare tutti, ma non è così. È vero che siamo molto bravi, però se dobbiamo farlo in quel modo scriteriato, meglio la lingua originale”.
Lasciando un secondo da parte il fatto di essere molto critico con sì stesso, qualche grande soddisfazione?
“Ho lavorato con Stanley Kubrick che era un grande amante del doppiaggio e per ‘Full Metal Jacket’ lo ha seguito personalmente in studio. Allora avevo 30 anni ed ogni volta che finivo una scena si alzava in piedi battendo le mani. In italia il doppiaggio è trattato malissimo, ma quando penso a lui o Ridley Scott che per il ‘Gladiatore’ mi ha detto che avevo superato me stesso dico: ‘Chi se ne frega delle altre critiche!’”.
Come diceva lei il doppiaggio in italia è considerato un’eccellenza, chi ne parla male?
“All’estero ci riconoscono le nostre capacità ma in Italia lo fa solo il pubblico non la critica. Sono usciti molti articoli di giornali che del doppiaggio italiano parlano malissimo e lo fanno senza neanche conoscerci. Addirittura il nostro presidente della Repubblica Mattarella, ha sentito l’esigenza di intervenire dicendo che il doppiaggio italiano è un’eccellenza e va difeso in tutto il mondo, quando l’attore Vincent Cassel ci ha definito come dei mafiosi. Ognuno può esprimere la sua idea, ma la mafia in Italia è un problema e di questo doveva rendersi conto prima di parlare”.
Roberta Damiata, ilgiornale.it