Un po’ registi, un po’ analisti, sempre più apprezzati e riconoscibili. In Italia è un momento d’oro per i produttori musicali, figure chiave nel plasmare il sound che funziona, nuove star accanto ai cantanti con cui lavorano. Uno su tutti Dardust o DRD (lo pseudonimo varia a seconda del progetto), all’anagrafe Dario Faini, golden boy del nuovo pop che solo all’ultimo Sanremo ha firmato cinque canzoni, prodotto l’esplosivo medley di Elodie e si è esibito come ospite.
Autore, pianista, compositore con una fervida carriera solista, Dardust racconta il lavoro di produttore come «uno scambio» con gli artisti: «A volte la canzone è un guscio già pronto in cui metto del mio, come è stato ad esempio per “La genesi del tuo colore” di Irama o “Voce” di Madame. Altre volte si parte da una mia idea e ci si scrive sopra, non c’è nulla di rigido — racconta Faini, 45 anni —. Sono laureato in psicologia dell’ascolto musicale, vado in analisi da 20 anni e non è un caso. Quel che faccio è trovare empatia. Quando l’artista si fida di me, diventiamo una cosa unica». Secondo Dardust, nella musica sta accadendo qualcosa di simile a quel che avviene nel cinema: «Il produttore è diventato più noto, come un regista che nei film non si vede, ma è un nome riconosciuto». Ad aver dato il la è stata in parte l’ondata trap, sostiene, in parte l’esempio dell’estero. E – tolti Takagi & Ketra che da tempo sono usciti da dietro le quinte e firmano le canzoni come artisti – individua in Charlie Charles «forse il primo protagonista» di questo cambiamento.
Pseudonimo di Paolo Monachetti, 27 anni, Charlie Charles ha contribuito al successo di Ghali e Sfera Ebbasta, ottenendo lui stesso una popolarità che, confessa, non si aspettava e non cercava: «In parte è stato il fattore dei social a esporci di più, ma davvero il produttore oggi ha una valenza superiore al passato. È diventato un discorso di visione, di capire che direzione prendere, che sound dare. Un po’ come cucire un abito su misura a un artista». Ma oltre che sarti i produttori sono anche un po’ nerd: «Per forza, la musica ormai è fatta con il computer e devi saperlo usare da Dio. Io da ragazzino amavo l’elettronica e schifavo il rap. Poi col tempo l’ho capito e apprezzato, ma è quando ho scaricato il primo software che ho deciso che quello era il mio lavoro»
Charlie Charles è anche tra gli artefici del fenomeno «Soldi» di Mahmood, proprio con Dardust: «Quella vittoria a Sanremo credo abbia segnato qualcosa di importante anche per la forma-canzone — commenta Faini —. E ha fatto capire ad altri cantanti che si può avere coraggio».
Di pari passo, sempre più produttori hanno iniziato a emergere. Un altro dei nomi del momento è Mace, aka Simone Benussi, classe 1982, che dopo aver lavorato per tanti artisti, a febbraio ha pubblicato il suo disco «OBE», chiamando a raccolta una schiera di cantanti e rapper che vanno da Salmo («La canzone nostra» con Blanco è doppio platino) a Colapesce: «L’elettronica e il rap hanno contribuito. Il ruolo esiste da sempre, ma ora spesso siamo noi ad avere una nostra visione e a scegliere degli ospiti per raggiungerla», dice Mace. Per lui, lavorare dietro le quinte non è un problema: «Non ho un ego smisurato e non mi interessa diventare un frontman. Uso computer e sintetizzatori, chiamo dei musicisti in studio e così nascono i pezzi». Sia Mace sia Dardust hanno lo sguardo rivolto all’estero: «Di solito i produttori sono curiosi, attenti alle nuove tendenze e proiettati verso quel che sta per succedere», racconta Mace.
E spesso consolidano il loro nome prima fuori che in Italia, come nel caso di Crookers, dj e producer dietro cui si cela Francesco «Phra» Barbaglia: partiti come duo prima di rimanere un progetto individuale, Crookers si sono imposti nell’elettronica mondiale. E ora Phra-Crookers è il produttore che ha lavorato a «Solo tutto», il nuovo album del rapper Massimo Pericolo che ha debuttato al primo posto in classifica. Ma i nomi sono una miriade, da Sick Luke, 26 anni, dietro ai dischi della Dark Polo Gang o di Mecna a Slait, classe 1987, al lavoro con la crew Machete di Salmo e con il team di «Bloody Vinyl», fino a Zef, già con Ernia o Rocco Hunt.
«È un momento florido, ma c’è spazio per osare ancora», commenta Mace. In che direzione? Sia lui sia Charlie Charles sostengono che, dopo mesi difficili, le persone abbiano voglia di riflessione. «Mi immagino della musica più emotiva e calma. Ma potrebbe anche esserci una forza opposta, per staccare», dice Mace. E l’ostentazione del rap o della trap? «Non rispecchia più quel che succede — sostiene Charlie Charles —. La gente ora vuol sentirsi dire altro e cerca più realtà».
Barbara Visentin, Corriere.it