È da un po’ di tempo che il nome di Venerus era sempre nell’elenco degli artisti pronti a esplodere. Se parlavi con alcuni artisti il suo era uno dei nomi che uscivano più di frequente, e l’Ep Love Anthem del 2019 dava l’idea, anche se c’è voluto il 2021 e il primo, attesissimo album, “Magica musica” a confermare al grande pubblico quelle sensazioni.
È da un po’ di tempo che il nome di Venerus era sempre nell’elenco degli artisti pronti a esplodere. Se parlavi con alcuni artisti il suo era uno dei nomi che uscivano più di frequente, e l’Ep Love Anthem del 2019 dava l’idea, anche se c’è voluto il 2021 e il primo, attesissimo album, “Magica musica” a confermare al grande pubblico quelle sensazioni. Venerus non delude, anzi, con un album delicatissimo, che mescola un’anima black, nu soul, che mescola, appunto r’n’b, pop, jazz col risultato onirico che dà l’impressione – meglio di qualsiasi parola -, di cosa voglia intendere Venerus quando parla di una relazione col Cosmo, dell’amore verso il cielo a cui spesso si rivolge e che compare in varie forme nel suo album. Quello del musicista è un percorso che è cresciuto molto nel tempo e che qui si reifica con l’aiuto di Mace, quasi un alter ego (il fortunato album del produttore deve molto all’amico, tra l’altro), ma anche con i feat di Frah Quintale, Calibro 35, Rkomi e Gemitaiz e le produzioni di Crookers, Tommaso Colliva, Vanegas, amanda lean & not for climbing.
Prima Gemitaiz, poi, Mace, quando parli con loro è tutto uno sponsorizzarti. E in effetti sei considerato una delle voci migliori della musica italiana contemporanea. Che effetto ti fa questo bel parlare che si fa di te?
Mi prende molto bene, sai, io sono uno che è sempre stato un lupo solitario, la musica per me è anche il canale per voler bene alle persone in maniera più semplice e vedere che sia io come persona che quello che faccio trasmetta una sensazione positiva mi fa piacere soprattutto con persone che stimo, che sono amiche.
L’ambizione, leggevo, è però arrivare a un pubblico internazionale, lo è ancora?
Sì, c’è sempre di più, soprattutto ora che è uscito il disco. Ho sempre avuto questa missione di poter essere un artista italiano nel mondo e questo facendo musica in italiano, senza dovermi declinare, è una cosa in cui credo molto, anche perché sinceramente mi considero un ascoltatore internazionale. La musica italiana degli ultimi anni non l’ho mai ascoltata, quindi capisco il perché anche altri ascoltatori internazionale non abbiano interesse ad ascoltarla però è una questione di prospettiva.
In che senso?
Credo che molta gente che fa dischi in Italia e anche molte realtà discografiche pensano molto localmente a livello di utenza e obiettivi, ma venendo dalla musica suonata, credo che ci possa essere spazio anche per un artista italiano.
A volte sento ancora una certa sorpresa, meraviglia, quando si sente anche da noi il rap mescolato al jazz, l’r&b, il nu soul, insomma, anche se praticamente nuove scene jazz, pop, etc vanno in questa direzione da anni: che ne pensi?
La questione è che noi, come Paese, siamo ancora poco globalizzati: siamo un Paese moderno ma siamo poco globalizzati culturalmente, poco multietnici, il motivo per cui la musica nel mondo è contaminata è perché diverse culture sono contaminate a livello etnico e questa cosa ha aggiunto un valore alla musica. Noi siamo molto italiani ed è il motivo per cui quando qualcuno fa una cosa contaminata sembra quasi un miracolo. Cioè, ci sta, sono contento che arrivi bene questa cosa, ma è anche un invito a rendersi conto che esistono altre cose.
“Salto dal tetto su una nuvola quando non guardi perché a capire il mondo intero sono gli astronauti”. Ogni tanto mi piace capire qual è il mondo semantico in cui si muovono alcuni artisti. E uno come te dà tanti spunti: per dire, ci sono il cielo e lo spazio, hai anche intervistato Franco Malerba: da dove nasce e come si alimenta questa passione? In che modo, poi costruisce un immaginario?
Io mi sono interessato al cielo mentre studiavo sia Fisica che Letteratura. È un po’ la classica cosa che quando arrivi a studiare Leopardi e al contempo studi anche lo Spazio: per come sono fatto io le due cose comunicano, non vedo il cielo di Leopardi e quello della fisica come distinti. Quando ero ragazzino ero affascinato dal cielo, in generale sono una persona molto studiosa, ancora adesso, e l’idea di poter interessarmi a quella dimensione mi ha sempre affascinato. Ricordo che le prime cose che ho scritto, da ragazzino – poesie, testi vari -, erano spesso riferite al cielo, ricordo che stavo sul balcone di casa, guardavo il cielo e scrivevo, sono sempre stato con la testa rivolta verso l’alto. Credo che è una delle cose che mi ha sempre caratterizzato, di pari passo con l’idea di guardare lontano e puntare in altro, ma non a livello di carriera, proprio a livello di percorso umano e questa cosa si è tradotta spontaneamente in un immaginario. Questo disco è stato il trovare una connessione tra l’Universo e il microscopico e questa dimensione spaziale si trova sia ingrandendo che rimpicciolendo, mi ha sempre molto affascinato molto questa connessione.
Senti, se dovessi prendere come esempio una frase per spiegarti, direi “Quando ho preso casa dietro via del fico, un vecchio pianoforte che ci è stato amico. Abbiam raccolto un angelo in piazza San Pietro che aveva un’ala rotta e l’anima di vetro” di “Sei acqua”. Dentro c’è l’ancora al reale, l’indirizzo, c’è la magia di un angelo, c’è il noi amoroso, c’è il pianoforte…
Questa canzone racconta la mia storia d’amore che ha preso vita questa estate e sono riuscito a collegare una serie di cose che per me e la mia compagna sono simboli chiave, simboli che sono riconoscibili. Dall’indirizzo della casa in cui stavo io – un indirizzo che non esiste, ma è una via dietro il Bar del Fico – all’angelo che è un gabbiano che ho trovato in Piazza San Pietro: aveva un’ala rotta ed era impaurito e siamo riuscito a a prenderlo e portarlo alla LIPU. È stato un momento dell’estate scorsa e di questa storia d’amore in cui è successo qualcosa e per me era importante racchiuderlo in questa frase.
Qual è stata la cosa che ti ha colpito di più da quando è uscito l’album?
Sono tantissime, ma a cosa che più mi è piaciuta e mi ha fatto capire quanto fosse vero senza che l’avessi pensato in modo così esplicito, è che il mio disco è un tributo alla musica, ed è proprio così. Per me è normale che sia così, perché sono amante della musica come entità, ma il fatto che sia arrivato anche a livello comunicativo e artistico è importante, perché ha caratterizzato il mio modo di pensare e fare musica, ed è uno dei miei messaggi.
A questo proposito è bello vedere che sono usciti a poca distanza l’uno dall’altro due album come il tuo e quello di Mace che hanno un’idea musicale simile. In più vi lega anche un forte rapporto d’amicizia che vi ha portato ad aiutarvi a vicenda per i vostri lavori.
Sì, li abbiamo fatti nel suo studio entrambi, quindi siamo contaminati nel vero senso della parola, nel senso che io ho deciso di fare il mio disco con lui e viceversa, proprio per una condivisione di visioni, di spazi vitali, di storia comune e di messaggio. È anche un po’ una scelta reduce dal lavoro fatto per altre persone in cui era spesso imposta una sorta di etichetta comportamentale, musicale, che noi ci sentivamo sempre di poter rompere, e ci siamo detti che i nostri dischi li avremmo fatti con questo intento, anche di mostrare che fare questa cosa è possibile.
Le tue canzoni a volte seguono lo schema strofa ritornello bridge, altre volte invece sono liberi, una libertà che ti prendi anche nella costruzione dei testi che sono liberi. Ecco cos’è la libertà per un artista come te?
La libertà, artisticamente, rappresenta il mettersi in contatto con dei flussi che sono già presenti. Fare musica vuol dire mettermi in contatto col suo flusso, lasciarla succedere attraverso di me, così come mettermi in contatto col mondo della performance è mettermi in contatto con quel tipo di flusso. È come se fossero dei torrenti intellettuali, mentali, con cui se ti metti in contatto la musica esce da sé. Penso che la musica che faccio io è musica che esisteva già nell’universo, io l’ho trovata e attraverso di me ha preso forma. Non mi sento creatore, mi sento tramite.
Francesco Raiola, Music.fanpage.it