“Hanno deciso gli altri per me, come succede sempre. In particolare il mio manager Pasquale Mammaro. Io non ci pensavo al Festival, non era più tempo, non volevo lo stress di quella settimana e in più quando mi hanno chiamato io e Osvaldo stavamo combattendo con il covid e rischiavamo di essere ricoverati. Ma poi ho capito che avevano ragione, che era il modo giusto per festeggiare 55 anni di carriera e poi non volevo deludere tutti i miei collaboratori”. Orietta Berti, 29 anni dopo l’ultima partecipazione a Sanremo, quando andò in gara con Giorgio Faletti (“il festival più bello e più spensierati tra quelli che ho vissuto. E Giorgio se ne è andato troppo presto”), è pronta a sbarcare per la dodicesima volta in Riviera, con il brano Quando ti sei innamorato, scritto da Francesco Boccia, Ciro Esposito, Enzo Campagnoli e Marco Rettani, e la sua scorta di peperoncini rossi per schiarire la voce.
“La canzone è molto difficile da cantare, in alcuni punti sembra estratta da un’opera sinfonica. Racconta un incontro che diventa passione, una passione che dura tutta la vita”. Come quella che Orietta ha vissuto con l’inseparabile marito Osvaldo (“che non sarà a Sanremo, perché ancora non si è ripreso completamento dal covid”), “e come quella in cui molti possono riconoscersi”.
Un’assenza lunghissima dal festival “perché non sentivo l’esigenza di andarci, oltre ai concerti, ho fatto e faccio tanta televisione: sono stata ballerina, cuoca, inviata speciale negli stadi, opinionista. Ero appagata”, dice.
Nel festival mai come quest’anno a trazione under 30, l’Orietta nazionale ammette candidamente di non conoscere una buona metà dei cantanti in gara. “Potrebbero essere miei nipoti.
Amedeo – preferisce chiamare così il direttore artistico e presentatore – ha portato tutti i generi: c’è un artista per ogni gusto. Io dove mi colloco? Come mi ha detto Iva Zanicchi sarò la portabandiera, rappresento le radici della melodia italiana, come ho sempre fatto e continuerò a fare”. Se dovesse dare un consiglio a chi ha da poco iniziato questo lavoro, non ha dubbi: “Date retta a chi ne sa più di voi. Io ho avuto la costanza di ascoltare chi mi era vicino, mio marito su tutti. E soprattutto, siate voi stessi, senza voler imitare qualcuno che ha già ottenuto il suo successo”.
L’assenza degli spettatori in sala, misura ritenuta dolorosa ma necessaria in tempo di pandemia, è “un peccato, ma in questo ultimo anno ci siamo un po’ abituati alla platea vuota. Mancherà quell’emozione che ti trasmette il pubblico, ma dobbiamo farcela. Anche per tutti quelli che sono a casa e si meritano un po’ di divertimento e di spensieratezza. E anche di compagnia, in questo periodo di solitudine. Il festival andava comunque fatto”.
Dopo la partecipazione a Sanremo uscirà un cofanetto con sei dischi, dal titolo La mia vita è un film. “Quattro cd del passato, uno di duetti e uno con 22 inediti, che esce anche in doppio vinile e che parla di amore a 360 gradi, quello di una madre per un figlio gay, quello malato che sfocia nella violenza, quello di un cane abbandonato. E se la mia vita è un film, l’Oscar che ho vinto è stata la durata di questa carriera.
Io ragazza di provincia che voleva fare la sarta o la maestra e che invece è diventata cantante per far piacere al papà”.
Claudia Fascia, ANSA