Riecco la Vanoni. Un brano nuovo per cantare “il nostro tempo”

Riecco la Vanoni. Un brano nuovo per cantare “il nostro tempo”

Con un brano inedito che anticipa addirittura l’album Unica, in uscita a fine mese, uno dei pochi dischi annunciati in questo silenzioso periodo di carestia musicale.

E lo fa fregandosene dell’età, mettendosi nuovamente in gioco senza resuscitare o sfruttare o rianimare un passato glorioso.

Ornella Vanoni canta un inedito, oltretutto scritto con Francesco Gabbani (e si sente) e con Pacifico, due degli autori più brillanti del nostro pop. Si intitola Un sorriso dentro al pianto ed è riconoscibile al primo istante. Mentre quasi tutti si appellano a magheggi digitali per modificare o correggere la voce (dicasi autotune), qui la Vanoni canta alla propria maniera, senza troppi filtri, perdonandosi qualche imperfezione per lasciare spazio a quella cosa sempre più trascurata, sottovalutata, sminuita che è l’interpretazione, il «colore» che si dà alle parole e, di conseguenza, al loro significato. «È una canzone che assomiglia al tempo che viviamo», ha spiegato lei e si capisce già al secondo verso: «Ormai che con un selfie fai vedere tutto a tutti e così sia».

Lo canta un’artista che ha debuttato nel 1956, ossia 65 anni fa, quando dei cantanti si conosceva solo la voce mica il volto. In oltre sei decenni lei ha cambiato volto (artistico) tante volte, sempre seguendo la propria ispirazione o, più semplicemente, l’estro. È stata la «cantante della mala», insieme con autori come Fausto Amodei, Fiorenzo Carpi, Dario Fo e Gino Negri. «Le canzoni della mala a quell’epoca le amavo, ma non abbastanza coscientemente, come gli amori di quando sei troppo ragazza» ha spiegato dopo aver chiuso quella fase e averne iniziate tante altre. È stata la musa sofisticata di Gino Paoli, ha cantato con Domenico Modugno, si è presentata tante volte al Festival di Sanremo prima di diventare «brasileira» e abbracciare un repertorio così distante ma così vicino al suo: quello di Roberto Carlos, Serge Lama, Jobim, Chico Buarque.

È stato un passaggio decisivo che l’ha consacrata come grandiosa interprete di elegante raffinatezza, capace soprattutto di calibrare il timbro suadente a seconda del testo, delle note, del brano insomma. Forse per questo oggi Ornella Vanoni è considerata l’ultima grande diva pubblica della nostra canzone d’autore. L’altra, Mina, è sparita dagli occhi del pubblico da così tanto tempo che il pubblico più giovane non l’ha neppure mai vista. La Vanoni no.

Con le sue intemerate, con le improvvisazioni dell’artista di razza, anche con le apparizioni televisive, ha conservato un rapporto strettissimo con il pubblico e con gli altri artisti, anche quelli giovani o giovanissimi. Non a caso, nel disco Unica (prodotto nientemeno che da Mauro Pagani) ci sono tre duetti. Il primo con Carmen Consoli in Carezza d’autunno, praticamente l’incontro tra due modi opposti di cantare. E poi con il bravo ed emergente Fabio Ilacqua in La mia parte e infine con l’inattesa Virginia Raffaele in Tu me, che forse si ricollega, anche solo idealmente, all’imitazione che la Raffaele le aveva riservato anni fa. In poche parole, al sesto decennio di carriera, Ornella Vanoni continua a fare ciò che ha sempre fatto: andare in scena e cantare.

«Mi ritrovo in ogni canzone che canto perché la faccio mia usando sempre il sentimento», spiega. E poi aggiunge: «Mi piace molto lavorare in team con altri autori e musicisti, soprattutto in studio, si crea una fusione meravigliosa dalla quale nascono sempre sorprese». È così anche stavolta perché il testo di Un sorriso dentro al pianto è una sorpresa con la voce di questa regina. «Per affrontare la stupidità abbiamo ancora l’allegria» canta con quel vibrato che è soltanto suo. Dopotutto la sua ironia è stata spesso un passepartout per scavallare le epoche e ripresentarsi sempre come se fosse la prima volta. Ed è così anche ora, a 86 anni quasi suonati ma comunque vissuti fino in fondo.

Paolo Giordano, ilgiornale.it

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