“L’obbiettivo della nostra musica per comunicarla è che bisogna invertire i parametri e dare precedenza alle nostre produzioni in italiano e alle tipicità dei linguaggi che solo la musica italiana possiede perché c’è un’articolata territorialità. È un patrimonio e non bisogna disperderlo e neanche dimenticarlo. Io è un po’ tutta la vita che mi interesso alle culture popolari, innanzitutto mi sento proprio in dovere di tutelarle perché mi ci sono dedicata attraverso i miei studi, anche all’Università, sulle culture e soprattutto sulla cultura dei territori diversi in Italia. Questo è molto importante perché il rischio è che tutta questa cultura popolare di nostra origine si disperda, perché è molto diversa, però è rimasta un po’, nei ristoranti per esempio… Nessuno oggi prende un mandolino, una fisarmonica, perché sembra una cosa un po’ antica. Quindi sia la musica ma soprattutto l’appartenenza alla lingua italiana, cioè bisogna assolutamente rivalutare e promozionare la lingua italiana, questo vuol dire che bisogna cantare in italiano, ed è importante perché la lingua italiana è da proteggere, un po’ come è stato fatto in Francia con la legge Toubon, valorizzando la propria lingua oggi i francesi sono molto più attenti ai contenuti nella loro nazione”, spiega Gianna Nannini, intervenuta oggi al World Protection Forum, nato da un’iniziativa di Kelony First Risk-Rating Agency per diffondere un nuovo modo di fare impresa e di fare cultura. “Al di là di tutti i nazionalismi, il mio è un discorso più europeo, di tanta diversità che abbiamo in Europa, l’Italia è sicuramente un panorama bio-diverso che abbiamo solo noi”, continua la cantante.
“Noi abbiamo tanti modi di fare musica, un esempio è la Taranta, che salvaguarda questo con un’istituzione sulla Taranta con una grande organizzazione per far sì che la Festa della Taranta sia sempre presente ogni anno, ma questo è un piccolo granello, bisogna andare molto più a fondo su questa cosa qua. A fondo vuol dire cambiare le cose come stanno adesso, noi abbiamo una grande percentuale di musica italiana sui media ma non è abbastanza per tutelare la nostra lingua, bisogna imporla di più, fare in modo che questo accada. Quando io ho dovuto studiare tante cose che non sapevo, mi sono resa conto del grande lavoro che ha fatto Alan Lomax, che lì per lì mi dava anche fastidio, lui è venuto qui per un anno, ha registrato tutti i nostri canti popolari e ha creato un grande archivio, ma meno male l’hanno fatto con la Bbc, oggi è un grande patrimonio culturale nostro e lo trovate anche su YouTube, meno male che è uscito. Si può attingere a questa cosa, che non vuol dire rifare il passato ma fare il futuro, la tradizione è il futuro, non vuol dire rimanere nel passato, essere antichi, vuol dire che puoi fare rap, trap, rock (che è musica popolare per me), e difendere la nostra cultura folk, il folk è il nostro futuro. Non ho capito perché gli altri lo possono fare e noi non lo facciamo, rimane lì in un angolo. Sono stata a Nashville, a fare il disco nel Tennessee dove c’è la country music, guai a chi gliela tocca la country music, è una roba importante come la nostra musica dovrebbe essere. Mi sono resa conto che bisogna fare qualcosa”.
E ancora: “Questo è un momento di immobilità e di silenzio della nostra scena, invece la nostra scena in questo momento di silenzio deve urlare, nella sua lingua, deve dire le cose come stanno, deve portare la musica italiana a grandi livelli, che può essere anche fuori dall’Italia, non rimanere fino a Chiasso, come dico sempre io, la nostra musica è una delle cose più belle. La moda, il cinema,… sono tutte cose che vanno fuori dai confini, noi con la musica siamo sempre lì legati, perché non ci crediamo, sembra di fare una cosa che facevano i nonni, ben venga invece, capito? Questo sto dicendo da anni. Bisogna stare molto attenti a quello che è proteggere le nostre differenze, la tipicità dei linguaggi, perché sono così diversi, c’è un modo di accentare le parole, secondo la musica, secondo la forma. Nel sud Italia, dalla Tarantella alla Pizzica, trovi talmente tante cose diverse e dialetti diversi, che bisogna attingere a questi per continuare la nostra lingua. È molto importante non farla in dialetto per forza, io canto in italiano, perché non ho il dialetto. Bisogna prendere assolutamente una posizione, una posizione governativa, non si può stare qui solo a lamentarsi, bisogna creare questa possibilità come hanno fatto anche in altri paesi d’Europa perché il rischio è di perdere questo patrimonio culturale, che è un patrimonio dell’umanità, come la voce. La contaminazione è assolutamente importante nella difesa del nostro repertorio, sennò si rimarrebbe immobili. Tutto il canto metrico nasce da atteggiamenti di lavoro”.
Nannini ha poi raccontato la sua esperienza all’estero, con un forte scambio culturale e di commistione: “Una volta sono stata in Cina e ho parlato un mese intero con una cantante folk e mi faceva capire che è l’atteggiamento del corpo che crea la metrica del canto, come nella tamurriata nel napoletano. La mia tesi riguardava cinque esempi femminili di cultura folk, come si sono trasformate, partivo da lì, fino a Janis Joplin. Qualcosa di appartenenza che non bisogna dimenticare. È una cosa che fa parte di me, il mio modo di cantare, la melodia. La melodia viene messa sempre nella ricerca di un canto nordafricano, quindi se io vado in Africa, vado a sentire come fanno la musica lì e chiedo come possiamo influenzarci a vicenda, in base ai milioni di ritmi diversi. Credo che la contaminazione sia importantissima. Quando sono andata dagli Himba in Namibia ho chiesto una canzone e loro non mi hanno voluto cantare una canzone, perché si vergognavano, allora io gli ho fatto una tamurriata nera e loro mi hanno applaudito, da lì è scaturito un rapporto di amicizia, mi hanno mandato, un giorno che ero in alloggio, delle persone di tutti gli Himba che sono venuti a fare un canto per me e io li ho registrati, lì è nata una canzone, loro non avevano i diritti d’autore, la SIAE, quindi per questa canzone gli ho mandato sei mucche e un toro, grazie al consolato della Namibia di Milano. È uno scambio la vita, lo scambio dei linguaggi è fondamentale. Bisogna difendere prima di tutto la lingua italiana, perché senza quella tutti i meccanismi di comunicazione musicale, radiofonico, televisivo… Ormai c’è un’invasione di musica in inglese, niente contro la musica in inglese ma perché prima non difendiamo la nostra?”.
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