David Guetta: «Il successo è come una droga: quando sei in alto hai paura di perdere quello che hai»

David Guetta: «Il successo è come una droga: quando sei in alto hai paura di perdere quello che hai»

Cinquanta milioni di dischi, 10 miliardi di stream. Il francese David Guetta è il re dell’elettronica (appena premiato agli Mtv Europe Music Awards) o se preferite il dj numero uno al mondo (secondo la classifica globale di Dj Mag Top 100). Padre marocchino, madre belga, 53 anni, sua sorella Nathalie è nel cast di Don Matteo fin dalla prima stagione («ho visto qualche puntata naturalmente, ma non guardo la tv italiana anzi non guardo proprio mai la tv»).

Si sente il numero 1?
«Avevo già vinto 10 anni fa, ma vincere di nuovo probabilmente è più significativo perché rappresenta la longevità della mia carriera, significa che la mia musica è ancora in contatto con le nuove generazioni. Non so se sono il più bravo al mondo, ma penso di avere un impatto culturale sulla musica. Alle persone piace quando un dj ha un suono unico e io sono pronto a fare da colonna sonora alle loro feste».

L’esibizione agli Mtv Ema è stata ovviamente registrata a causa della pandemia. Come ci si sente a fare una sorta di live-fake, a mettere in scena una pallida imitazione di un concerto?
«Non credo sia fake, è vita reale, è diverso e personalmente preferisco avere persone in carne e ossa di fronte a me ma non c’è dubbio che la realtà virtuale diventerà sempre più centrale anche quando questa terribile pandemia si fermerà. Ho due figli e vedo come “escono virtualmente” con gli amici giocando online. Quindi non possiamo ignorare che anche quando potremo essere di nuovo tutti insieme — e faremo il più grande party di tutti i tempi per festeggiare — la realtà virtuale continuerà a essere una parte importante del mondo dell’intrattenimento».

Deve essere difficile bilanciare palco e vita quotidiana: dove trova l’adrenalina per la vita di tutti i giorni?
«Non c’è niente che possa essere paragonato all’essere sul palco. Essere in scena è come una droga, assolutamente. Nel primo mese di lockdown ero felice perché sono sempre in giro ed è stato bello svegliarsi ogni giorno nello stesso letto, dedicare più tempo alla mia famiglia. Ma ora mi manca davvero molto il contatto con il pubblico, quando sei sul palco ricevi una marea di amore, è incredibile».

Voi artisti siete oggetti di consumo, soggetti alle mode, legati al volatile piacere degli altri: come convive con il giudizio pubblico?
«È molto difficile. Quando ti affacci come nuovo artista nessuno si aspetta che tu abbia successo, quindi quello che ottieni lo vivi come un regalo. Quando raggiungi il top invece l’energia inizia a diventare paura di perdere quello che hai e questa è davvero un’energia negativa. Con il tempo ho imparato a scacciare quella paura, faccio musica perché adoro fare musica e accetto di non piacere a tutti. Ma molti artisti la vivono male: si suicidano o cadono in depressione perché la loro felicità dipende dall’amore di altre persone».

«Let’s Love», il nuovo singolo, è un messaggio di amore e speranza.
«L’idea è nata durante il lockdown. Ero bloccato nel mio appartamento a Miami e Sia nel suo a Los Angeles. Stavo guardando il telegiornale e tutto era così deprimente, abbiamo capito che avevamo bisogno di fare una canzone allegra che ispirasse le persone ad attraversare questi momenti difficili. Insieme e non l’uno contro l’altro. È un brano che parla di amore universale, del rapporto tra esseri umani, del bisogno di essere vicini. A quel tempo ero in America e c’era tanto odio tra le comunità, vedo Paesi che puntano il dito contro altri Paesi, gruppi sociali che combattono tra di loro, la differenza tra ricchi e poveri è sempre più evidente. Sento che è un periodo molto drammatico, quindi penso che ci sia bisogno di un messaggio di unità. Non sono un politico, ma posso esprimere come mi sento in una canzone».

In quale delle sue canzoni si riconosce di più?
«Ce ne sono molte, ma tre mi rappresentano al meglio: Titanium, Memories e I Gotta Feeling dei Black Eyed Peas (da lui prodotta): raccontano che sono un combattente e mi piace combattere per quello che voglio; e che sono una persona che vede sempre positivo e ama vivere il momento, cogliere l’attimo. Io sono così».

Renato Franco, Corriere.it

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