La Venere del Botticelli della cultura pop. Ursula Andress esce dall’acqua in bikini color panna, le conchiglie nelle mani, il coltello alla cintura. L’effetto di Mosè quando apre le acque. Una folgorazione, un’immagine indelebile, scolpita nel bronzo del cinema. La prima Bond Girl, quindi quella che si ricordano tutti. Dopo di lei solo imitazioni. Nata in Svizzera, ma cittadina del mondo, Ursula Andress vive a Zagarolo, in provincia di Roma. Il suo italiano è un impasto di 84 anni di esperienze e empatia. «Provo un dolore grande per la morte di Sean Connery. Era un grande uomo, oggi uomini così non esistono più, sono tutti troppo narcisisti, troppo presi da se stessi. Uno come Sean oggi è difficile da trovare. È stato un amico grande e un attore favoloso».
Il primo incontro fu proprio sul set di «Agente 007 – Licenza di uccidere».
«Avevo un po’ paura, eravamo sul set a Kingston e non conoscevo la Giamaica. Ci siamo visti per la prima volta nella sala da pranzo del piccolo albergo dove stavamo; lui era solo al tavolo e io ero timorosa. Ma poi passò tutto. Durante la lavorazione del film fu molto protettivo con me, adorabile, fantastico. Era pieno di vitalità, di passione per le donne. Adorava le donne. Era molto uomo, indubbiamente».
Aveva capito che stava per girare un film che avrebbe fatto storia?
«In realtà era una produzione piccola, io avevo accettato il film pur pensando che nessuno lo avrebbe mai visto, la sceneggiatura non mi era piaciuta per niente. Non conoscevo Sean, e pensavo: sarà la prima cosa che faccio al cinema e anche l’ultima. Poi invece il film ha preso il volo, la chimica tra noi due funzionava, era la combinazione giusta».
Che atmosfera si respirava sul set?
«Io adoravo Ian Fleming, la Giamaica, l’oceano, i posti favolosi, la gente adorabile, ma nessuno pensava mai potesse avere questo successo clamoroso. Nessuno durante la lavorazione ci ha mai detto che stavamo girando scene fantastiche o che erano contenti di quello che stavamo facendo».
Che effetto le fa essere entrata così prepotentemente nell’immaginario collettivo?
«Il film costava appena 800mila dollari, niente a che vedere con le cifre di oggi. Io pensavo che in quella scena avrebbero messo degli effetti speciali, delle onde enormi dietro di me. Invece niente. Sono uscita così dall’acqua, come esco tutti i giorni dal mare… Penso di essere stata fortunata perché il pubblico voleva un personaggio più vero. Prima c’erano Gina, Sophia, con le loro forme rotonde, io invece ero piuttosto atletica, ma con un corpo niente di speciale: non sono stata mai in una palestra. La mia fortuna è stata che in quel momento cercavano qualcosa di diverso».
Con Connery siete rimasti amici tutta la vita. Che amico era?
«Fedele. Aveva la capacità di capire al volo la gente, quelli pieni di se stessi, i superficiali. E poi aveva un senso dell’umorismo che mi piaceva moltissimo. L’ultima volta ci siamo visti in Svizzera, Sean aveva preso casa a Gstaad vicino a me. Abbiamo fatto tante serate insieme, mi invitava sempre, Montecarlo, Londra, New York… Da quando ci siamo conosciuti fino ad ora siamo rimasti amici. Amici amici».
Come attore non è stato solo 007.
«Al di là di James Bond ha fatto una grande carriera. È stato bravissimo nel Nome della rosa, nei film con Lumet. È stato un grandissimo».
Cosa le rimane?
«Tante cose divertenti, che però adesso mi fa quasi pena, mi fa male ricordare. Abbiamo vissuto dei momenti bellissimi e mi rimangono dei ricordi favolosi. Per me Sean non è morto, rimarrà sempre vivo con me».
Si vive solo due volte, ma Sean Connery per sempre.
Renato Franco, Corriere.it