Stefania Sandrelli: «Devo tutto a Germi e ho sofferto per Paoli»

Stefania Sandrelli: «Devo tutto a Germi e ho sofferto per Paoli»

«Che bello. Ho la possibilità di ripercorrere la mia carriera, rendendo omaggio alle persone con cui ho lavorato e a coloro che ho ammirato». Stefania Sandrelli si racconta in un’occasione speciale: il 17 maggio disegna il palinsesto di «Domenica Con», in onda su Rai Storia dalle 9 a mezzanotte, creando la «sua» televisione. Un progetto ideato da Rai Cultura che rientra nei programmi dedicati alla divulgazione culturale e artistica.

Un ampio affresco che parte da Viareggio, la sua città.
«Che bei ricordi! Le mie corse in bici, le sale cinematografiche dove ho iniziato ad amare i grandi film, e poi il carnevale: mi mascheravo e mi piaceva da morire truccarmi con i rossetti e la cipria che mia madre teneva nascosti in un cofanetto».

Il primo dei numerosi omaggi, è a Gino Paoli: un’importante storia d’amore e una figlia in comune, Amanda. 
«Quando ci siamo lasciati, fu un brutto momento, poi ci siamo ritrovati in un bel rapporto di amicizia. Non so chi abbia maggiormente influenzato nostra figlia, attrice, se io o il padre. Non è facile avere per genitori Paoli e Sandrelli, ma ha ripreso da noi lo spirito di indipendenza, e due indipendenze sommate sono parecchia roba».

Il regista che le offrì la svolta professionale fu Pietro Germi. Come l’ha scoperta? 
«All’epoca ero già apparsa in qualche pellicola e ogni tanto, a Viareggio, mi facevano miss di qua, miss di là… Germi mi vide nella foto pubblicata su una rivista e mi fece convocare agli Studi De Paolis a Roma: mi prese un colpo, non me l’aspettavo! Ero minorenne e venni accompagnata da mia madre».

Sua madre era orgogliosa? 
«Ma veramente… siccome il successo di “Divorzio all’italiana” dette il via a una serie di film, e mamma doveva sempre accompagnarmi sul set quindi eravamo continuamente in viaggio, non era contraria, però un giorno mi disse: tu sei proprio sicura che vuoi fare l’attrice? È così faticoso!».

Faticoso ma con risultati straordinari: è stata diretta dai più grandi autori della commedia all’italiana, e non solo. Quale quello che considera il maestro in assoluto? 
«Oltre a Germi, che mi ha insegnato a studiare il copione al millimetro, Antonio Pietrangeli, che mi volle per “Io la conoscevo bene” e non lo affermo perché mi affidò il primo ruolo da protagonista assoluta. Non ho mai puntato a essere il primo nome in locandina, mi è sempre bastato quello che facevo. Ma il personaggio di Adriana in quel film fu molto impegnativo e mi ha aperto altre porte con Scola, Monicelli, Comencini, Bertolucci… tutti cari amici».

Non solo grandi registi amici, anche molti scrittori famosi amici. 
«Un genio Mario Soldati, l’ho conosciuto prima di Giovanni (compagno dell’attrice ndr). Ero a Cannes per “Divorzio all’italiana” e, appena finita la proiezione ufficiale, Mario mi dette un bacino. Rimasi stupita ed esclamai: oh! Da quella volta, tutte le volte che ci rincontravamo, lui mi prendeva in giro, rifacendomi il verso “oh!”, e ridevamo insieme. Con Pasolini abitavamo vicini, era un’anima grandiosa, pura, dal suo sguardo traspariva intelligenza. Di Moravia ricordo la prima sera che lo vidi da vicino. Eravamo a un concerto di musica dodecafonica, tosta. Io gli stavo seduta dietro e lo vedevo insofferente, muoveva in continuazione le gambe, il suo bastone ed essendo un po’ sordo, sbuffava talmente forte, che tutti lo guardavano. Poi che belle serate a casa sua: un ospite squisito, mi sedevo sempre accanto a lui, però poi andava a dormire e ci lasciava a chiacchierare, bere, mangiare…».

Si è mai pentita dello scandalo suscitato da «La chiave» di Tinto Brass? 
«Mai! È stato un film femminista, dove io sputtanavo il porco inverecondo guardone. Adoro l’ironia con cui Tinto dirige gli attori».

Non solo registi e scrittori, anche attori internazionali. Amori sul set? 
«Non ho mai sognato di mettermi con un attore. Giusto con Depardieu c’è stata qualcosina, più che altro un’affettuosa amicizia: ma Gérard è un uragano, e come uragano basto io. Sto bene da tanti anni con Giovanni, pure se siamo cane e gatto».

Come ha vissuto il coronavirus?
«Figuriamoci! Io ho avuto l’asiatica! Era il 1957 e me lo ricordo benissimo. Eravamo degli zombi, chiusi in casa a Viareggio: tutti a letto, febbre altissima, un mal di testa pazzesco. Però con mio fratello Sergio ci siamo fatti pure qualche risata».

Difficile sopportarsi Giovanni nel lockdown? 
«No, ci ha fatto pensare, leggere e ci siamo dedicati ai nostri progetti, per ora bloccati. Io dovevo firmare la mia prima regia lirica con Tosca al Festival pucciniano. Ma dovrebbero iniziare le riprese del film con Pupi Avati, “Lei mi parla ancora”, ispirato alle opere di Giuseppe Sgarbi, una bella storia al femminile, tra nonna, da me interpretata, figlia e nipote. Prima o poi ha da passà ‘a nuttata!».

Emilia Costantini, Corriere.it

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