«Nessuno di noi poteva immaginare che Un figlio di nome Erasmus non sarebbe uscito in sala, ma la scelta è quella giusta, è l’unico modo di fare vivere un film pronto che, vista l’emergenza, rischiava di rimanere troppo nel cassetto. Il cinema, certo, ha una magia e ritualità tutta sua, ma in questa una situazione sono felice che il pubblico possa godersi una commedia sfiziosa e leggera». Che Eagle Picture distribuisce dal 12 aprile su otto piattaforme (Chili, Rakuten Tv, Sky, TimVision, Google Play, YouTube, Infinity e Huawei Video) e dove Daniele Liotti si trova a fare i conti con un sogno di gioventù, nel film Carol Alt. Una commedia generazionale diretta da Alberto Ferrari, protagonisti quattro amici – Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, Ricky Memphis e Liotti — che tornano in Portogallo vent’anni dopo il loro programma Erasmus, convinti di partecipare al funerale di un’amica e si scoprono potenziali padri di un figlio ventenne di cui nessuno di loro conosceva l’esistenza.
Un film sulla nostalgia dei vent’anni?
«No, è soprattutto un film sull’amicizia tra uomini. Il viaggio che si trovano a fare alla ricerca di questo figlio offre la possibilità di fare un bilancio nelle loro vite. Come succede con gli amici di gioventù, ti perdi, stare insieme ti fa mettere in discussione, riscoprire e sanare ferite del passato. È abbastanza realistico, non tutto finisce bene».
Lei è Enrico, il più conformista.
«Un tipo abbastanza comune: più che fare scelte si è lasciato trascinare dalle circostanze. Sta per sposarsi, consapevole di non essere innamorato, ha un suocero ingombrante che potrebbe aiutarlo nella carriera. Un opportunista. Il viaggio lo aiuta a a capire cosa non vuole».
E ritrova la prof di cui era innamorato, Carol Alt.
«Viene preceduta dalla sua fama, un’icona per tutti. Prima che arrivasse sul set abbiamo fatto il conto alla rovescia. Io ho avuto un brevissimo passato nella moda, a vent’anni ho fatto il modello, il suo era un nome importante. Poi ci siamo resi conto che la più emozionata era lei, fin dalla prima scena. Era tanto che non stava su un set italiano, era preoccupata e ha messo subito a disposizione la sua emozione. Un’implicita richiesta d’aiuto da collega, non da star o icona».
Com’è stata sul set?
«Io ero quello che aveva più scene con lei. È una donna molto intelligente, lontana dall’immagine della modella perfetta che bada solo all’apparenza».
E tra voi quattro com’è andata?
«In cinque settimane di set, girando per il Portogallo, siamo diventati amici. Ricky mi sembrava di conoscerlo da sempre, in comune abbiamo la mentalità romana. È stato una sorpresa. È ermetico, riservato, gli bastano un paio di frasi per farsi capire. È un generoso, un buono, ho scoperto che è molto credente, una cosa che non ti lo aspetti. Luca e Paolo sono sempre pronti all’ironia, sempre all’attacco. Io sono un attore emotivo e sensibile, all’inizio la temevo, poi capisci che è puro gioco e divertimento e che sono anche pronti a incassare. Come attori sono bravissimi. Il gruppo si è cementato grazie al regista, Alberto Ferrari, ha fatto da collante tra tutti».
Ci sarà una nuova stagione di «A un passo dal cielo», la fiction di Raiuno?
«I contratti sono firmati, bisognerà capire quando e come si potrà ricominciare a girare. La fiction è una scommessa vinta, non era scontato, è diventata un’altra serie diversa rispetto a prima, meno family. Mi ha portato grande popolarità. Per il resto l’incertezza regna sovrana, stavo per partire per le Mauritius per un film spagnolo. Invece come tutti sto in quarantena».
Come procede?
«In famiglia con la mia compagna, la figlia piccola e il più grande di 21 anni che normalmente non vedo così tanto. L’unione fa la forza, ci facciamo compagnia, per chi sta da solo è certo più faticoso. Ho festeggiato il mio compleanno, sono nato il 1 aprile, facevo pesci d’aprile agli amici, il destino stavolta ha fatto lo scherzo a me. È un sacrificio enorme stare in casa, mi sembra che gli italiani si stiano comportando bene. Ora ci attende la fase 2: non cadiamo nella trappola di uscire e poi dover rientrare. Veramente vogliamo ricominciare da capo?».
Stefania Ulivi, Corriere.it