La giovanissima star ha usato il palcoscenico di Miami – prima tappa del suo nuovo tour – per mandare un segnale importante: «Perché giudichiamo gli altri in base al loro corpo? Ora basta, ecco come sono nata»
«Perché indosso abiti larghi? Non voglio che la gente si faccia opinioni vedendo quello che c’è sotto». Circa un anno fa Billie Eilish rispondeva così a chi le chiedeva delucidazioni sul suo modo di vestire. «Almeno nessuno può dire che sono troppo magra, o troppo grassa, o fare commenti sul mio fondoschiena», aggiungeva la giovanissima popstar californiana, appena 18enne. «Fossi stata un uomo, nessuno avrebbe detto nulla».
Billie ha dovuto fronteggiare le critiche di chi la accusava di «nascondersi» per evitare i giudizi, ed essere quindi «incapace» di affrontarli. Ma tanti fan si sono comunque schierati dalla sua parte, rivendicando la sua «libertà» a vestirsi come meglio crede. Oggi però quella sterile polemica crolla sotto i colpi di uno splendido video in cui la cantante si spoglia e lancia un messaggio proprio contro il body shaming.
«Alcune persone odiano ciò che indosso, altre lo elogiano, alcune lo usano per offendere, altre per mortificarmi», sono le parole del monologo proiettato all’American Airlines Arena di Miami, in occasione della prima data del suo nuovo tour. «Se indosso abiti comodi, non sono una donna. Se mi scopro, sono una sgualdrina. Anche se non hai mai visto il mio corpo, lo giudichi e mi giudichi. Ecco come sono nata, è ciò che volevi».
Billie inizia quindi a spogliarsi, fino a rimanere in reggiseno: uno show assolutamente non volgare e di sicuro sorprendente. «Mi vorresti più alta? Più debole? Più morbida? Più bassa? Le mie spalle ti provocano? E i miei fianchi? Facciamo ipotesi sulle persone in base alle loro misure, al loro aspetto: decidiamo chi sono, quanto valgono», conclude l’artista. «Chi decide cosa mi definisce? E cosa significa tutto ciò».
«Il mio valore si basa solo sulla tua percezione? O la tua opinione di me non è una mia responsabilità?». Parole forti, coraggiose, contro questa triste forma di discriminazione.
Vanityfair.it