A pochi giorni dal processo che lo vedrà a giudizio per omicidio stradale, il cantante parla per la prima volta dell’incidente in cui è stato coinvolto e di quanto sia stato difficile ritrovare equilibrio. La speranza, ora, è che «il dolore possa stritolarsi sempre di più»
Coinvolto in un incidente in cui ha perso la vita una donna, nel 2018, e rinviato a giudizio per omicidio stradale, Michele Bravi negli ultimi mesi ha condotto na vita riservata, schivando qualsiasi commento sull’accaduto.
Il primo concerto «dopo» è stato lo scorso ottobre, e ora che è ripartito è anche arrivato il momento di raccontare quello che lo ha angosciato di più nel suo periodo più silenzioso.
«Quando vivi un trauma cambia il tuo corpo e il modo di vedere le cose. Non riuscivo a sentire gli altri.
Ero semplicemente da un’altra parte, avevo perso aderenza con il reale. Abituarsi all’assenza di suono, per me, che ho sempre raccontato quello che vivevo attraverso la musica, è stato molto difficile», racconta il cantante a Verissimo. «Quando succede qualcosa di così traumatico non si può pensare di uscirne da soli. L’amore non basta. Serve un percorso terapeutico e farsi aiutare per trovare il coraggio di affrontare la situazione con uno specialista. Ho seguito un metodo clinico per il trattamento dei grandi traumi – l’EMDR – che mi ha salvato e mi ha fatto tornare a parlare e a sentire».
Bravi ha raccontato di aver avuto accanto a sé la famiglia, ma non solo: «Ho avuto una fortuna enorme: avere un angelo vicino. Lui adesso non fa più parte della mia vita soltanto perché si è trasferito all’estero. Questa persona, che posso ritenere la più importante della mia vita, è stata salvifica. Mi ha aiutato a tornare pian piano alla vita, alla realtà. Mi diceva l’opposto di quello che dicevano gli altri. Secondo lui dovevo assorbire questo dolore da solo promettendomi però che mi avrebbe tenuto la mano per tutto il tempo». Tra i momenti più difficili, il viaggio in macchina verso casa dei genitori, in Umbria. «Ad affrontare con me il viaggio c’era questa persona che mi ha messo delle cuffiette con Always remember us this way di Lady Gaga che ho ascoltato per cinque ore consecutive. Questa canzone mi ha suggerito qualcosa che per mesi ho ignorato: tutto il rumore che mi portava in quel luogo di buio poteva essere frenato dal suono della musica. È stato un gesto che mi ha cambiato la vita».
Oggi la paura più grande «è non avere i piedi ben piantati nella realtà», anche se sul palco è un’altra cosa, come quando è tornato a esibirsi insieme a Chiara. «Lei ha protetto la mia voce quando non riuscivo a parlare. Poter tornare a cantare al suo fianco è stato un regalo di amicizia immenso». Il 23 gennaio lo aspetta la prima udienza del processo. «È un momento complesso», ha ammesso il cantante. «L’unica speranza che posso nutrire è che, rispetto ai tempi della giustizia, questo eco di dolore possa stritolarsi sempre di più e che tutti possano trovare uno spazio dentro di sé in questa storia».
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