“È la più rognosa di queste avventure. Caravaggio era più facile per l’accostamento a Pasolini. Michelangelo è universale. Leonardo è meraviglioso perché è un incapace totale, un dilettante – una specie di Di Maio che senza aver mai lavorato crea il diritto di cittadinanza – che fa quattro dipinti, uno più brutto dell’altro, ma unici nei concetti. Raffaello, invece, è un genio che non ha bisogno di me, né del mio racconto”. È così che Vittorio Sgarbi si avvicina al Maestro di Urbino, il pittore delle Madonne e della Scuola di Atene, alla vigilia del cinquecentenario della morte, con un nuovo capitolo della sua personale galleria di ritratti-spettacolo, con cui aprirà, per il terzo anno, la stagione del Teatro Olimpico di Roma, dal 9 al 13 ottobre.
Nei prossimi anni, racconta Sgarbi, proseguirà con “Dante nel 2021, per i 700 anni della morte, che se farà dimenticare Benigni sarà già superbo. Ci potrebbe essere un Canova nel 2022. Ma soprattutto – aggiunge – vorrei dedicare uno spettacolo ad Artemisia Gentileschi e un altro agli ‘invisibili’, quei maestri come l’Ortolano o Saturnino, bravissimi ma sconosciuti”. Per ora, c’è Raffaello Sanzio (1483-1520), in scena con le musiche di Valentino Corvino ispirate ai sonetti del maestro e con il contributo di sei giovani videomaker. E subito arriva la sorpresa, perché mai nessuno avrebbe osato immaginare che proprio lui, il fanciullo rimasto orfano di padre ad appena nove anni, cresciuto alla bottega del Perugino, divenuto il prediletto (insieme a Michelangelo) dei Papi Leone X e Giulio II, soprattutto il più celebre ritrattista di Madonne di tutti tempi, poi fosse “schiavo” delle sue passioni carnali.
“Raffaello – racconta Sgarbi – è il nostro più grande pittore, un filosofo, un sistematore di idee. Dipinge in presenza di Dio. Anzi è come se Dio fosse nel suo pennello. Prolunga il tempo della Creazione. Ha un solo punto dove appigliarsi per il racconto: la sua ossessione maniacale per il sesso e le donne. Una sorta di Strauss-Kahn del ‘500. Vasari racconta che non può dipingere senza appagare i suoi sensi. A 17 anni si mette a fare i capricci quando non gli portano la Fornarina perché non può fare sesso con lei”. Cronache a parte, “lo spettacolo sarà soprattutto un racconto di meraviglie, visivamente bellissimo”, proprio per quella infinita galleria di capolavori realizzati in appena 37 anni di vita. “Per fortuna Raffaello non visse di più o lo spettacolo sarebbe durato sei ore – ride Sgarbi – Già nel 1504, a 21 anni, aveva raggiunto la perfezione con lo Sposalizio di Brera. Raffaello è uno che dipinge 50 Madonne e non ce n’è una uguale all’altra. Con l’Estasi di Santa Cecilia e gli strumenti ai suoi piedi dipinge la prima grande natura morta. Francesco Francia, che si credeva il Raffaello di Bologna, quando vede una sua opera muore d’infarto”.
Nello spettacolo si ripercorrerà il rapporto, sereno, con Michelangelo e anche l’illuminazione davanti alla Gioconda di Leonardo, alla base dei suoi dipinti femminili. E poi l’influenza sui pittori del nord e qualche piccola scoperta. Come “la cornice attribuita a Gagini dello Spasimo di Sicilia, per me invece di Raffaello”. E le due opere che arriveranno in Italia dal Louvre “per un felice scambio del ministro Franceschini con l’uomo di Vitruvio e un paio di opere minori di Leonardo: ovvero il Baldassarre Castiglione, per me il più bel ritratto al mondo. E l’autoritratto, in cui Raffaello somiglia un po’ a Depardieu, con davanti un giovane, che sembra chiamare le ragazze per lui”.
Daniela Giammusso, ANSA