La band torna con un disco che vuole essere una spinta positiva in un periodo storico molto complesso. ‘Ode to Joy’ uscirà il 4 ottobre, saranno in tour anche in Italia
Intitolare un album ‘Inno alla gioia’ non è cosa da tutti i giorni. Specialmente oggi. Ne è convinto anche Jeff Tweedy, leader dei Wilco. La band di Tweedy, John Stirratt, Nels Cline, Glenn Kotche, Patrick Sansone e Mikael Jorgensen sta per tornare a suonare dal vivo in Italia, il 19 settembre a Milano e il 20 settembre a Padova, per presentare un album Ode to Joy appunto (in uscita il 4 ottobre), che ha un titolo importante, ingombrante, decisivo, una sorta di dichiarazione d’intenti che guida l’ascoltatore in una selezione di canzoni molto belle, originali, intense, tutte animate dalla volontà di ‘illuminare’ il mondo con dei sentimenti positivi anche quando sembrano essere dominate dall’amarezza, dalla tristezza.“Credo che stiamo vivendo un periodo emotivamente complesso, dove i segni dell’autoritarismo sono ovunque”, ci dice Tweedy, “e credo che siano in molti a pensare che ci sia bisogno di gioia quando le cose si mettono in una prospettiva difficile. Personalmente non penso che sia bene arrendersi al peggio e mettersi ad aspettare una catastrofe globale, credo che sia giusto combattere per bellezza e gioia, anzi credo che smettere di cercare gioia non faccia bene a nessuno, mai. Ogni essere umano dovrebbe avere tra i suoi obbiettivi quello di creare gioia per se stesso e per gli altri, oltre ad essere un buon cittadino e prendersi cura del mondo. Bisogna permettere che la gioia, la bellezza, i contatti umani, siano sempre nella nostra vita”.È un disco che, al di là dei contenuti delle canzoni, ha uno scopo, per così dire, “politico… Ho sempre creduto che tutta la arte che ispira la vita sia politica. La nostra percezione del mondo attraverso l’arte è di per se politica, tutte le volte che vieni colpito da un’opera d’arte il mondo attorno a te cambia e tu fai una affermazione politica, in qualche modo scegli e dichiari da che parte stai”. Certo, fare un disco come Ode to Joy in un momento in cui la musica sembra essere sempre più irrilevante è una bella scommessa.“Non so se sono completamente d’accordo sul fatto che la musica oggi sia più irrilevante di quanto non fosse, chessò, negli anni Cinquanta. Certo, negli anni Sessanta e nei primi Settanta è stata davvero diversa, ma diciamo che per la maggior parte della sua storia è stata distrazione per il popolo, intrattenimento per principi e re, una onesta consolazione per tanti. E credo che sia bene che sia così, non vedo cosa ci sia di sbagliato in una teenager che sul suo letto da sola ascolta K-pop. Penso sia molto difficile fare cose rilevanti, e di certo non puoi pensare coscientemente di farle, le cose diventano rilevanti per proprio conto, chi ascolta decide se lo sono. Io voglio solo essere onesto, fare musica che mi piace, mantenere l’ispirazione, e credo di averlo fatto con questo album”.I Wilco non sono mai stati una band di genere, ogni disco aveva un suono e un approccio diverso alla musica. Ma questo è un album rock. “Penso che ai Wilco interessi appartenere a un genere, ogni disco è frutto di un diverso processo creativo, ogni progetto è nuovo e per noi l’obbiettivo è fare qualcosa che non abbiamo fatto prima. In questo caso particolare l’idea era quella di immaginare cosa sarebbe stato ricreare un disco rock come se noi non avessimo mai ascoltato musica rock, come se tutta la sua storia fosse stata cancellata e noi ne avessimo solo letto o ricevuto qualche informazione attraverso la tradizione folklorica. Ci piaceva l’idea di partire da quello che secondo noi sarebbe potuto sopravvivere alla distruzione, essere dei musicisti rock che riscoprono il rock e cercano di capire anche se ha ancora un senso nel mondo di oggi. Credo che il rock oggi sia basato essenzialmente su luoghi comuni e temo che chi non aderisce a questi luoghi comuni rischi di non avere un pubblico, ci si muove dentro questi luoghi comuni per paura di perdere il proprio pubblico di riferimento. Ma questo va contro la natura stessa del rock che a mio avviso è fatta di liberazione di se stessi, invenzione e realizzazione di se stessi, costante attualizzazione”.State per venire a suonare dal vivo Italia, vero? “Sì, suoneremo almeno setto o otto brani del nuovo disco ogni sera, ma non abbiamo una scaletta precisa, ogni volta la selezione cambia, dipende dal luogo, dal pubblico, da come stiamo, da quello che ci diverte. Ogni sera, davvero, è e sarà diversa dall’altra”.
Ernesto Assante, repubblica.it