In “Ad Astra” va a recuperare il padre sul Pianeta Rosso. “È un viaggio nello spazio, ma molto umano e intimista”
«Ci portiamo dietro, dall’infanzia, dolori e ferite e credo che compito di un buon attore sia ricondurli in superficie.
È una garanzia di sincerità, ed è un qualcosa che vale anche per i bravi registi. Oggi quando si pensa alla mascolinità, se ne vedono i lati negativi, le barriere create per nascondere e/o negare condizionamenti e cedimenti emotivi, ma si dimentica che è stata a lungo, e lo è ancora, un valore, fa parte del nostro stare al mondo… Ecco, a me è sempre piaciuto un cinema dove ci sono personaggi complessi, intrisi di umanità, capaci di guardarsi dentro anche se fa male, perché è poi l’unico modo per capirsi meglio. È quello che in questo film fa il mio astronauta Roy McBride: il suo è un viaggio intimista nello spazio».
Brad Pitt, applauditissimo, tiene sulle sue robuste spalle le due ore e passa di Ad Astra, ieri in concorso a Venezia. Non fosse per il cameo affidato a Tommy Lee Jones, nella parte del padre dato per disperso in una precedente missione spaziale, tutto il resto è effetti speciali e un cosmo silenzioso quanto gelido, dove l’unica certezza è che gli alieni siamo noi…
Il sottinteso di Ad Astra è che ci si arrivi per aspera, ovvero superando le difficoltà, ma James Grey, il regista, ha messo troppa carne al fuoco, un’Odissea nello spazio con lieto fine, un’Apocalypse Now senza il cuore di tenebra di «l’orrore, l’orrore!», un pizzico di tragedia greca, un po’ di epica omerica… «Certo, c’è Conrad e c’è Melville, il Melville di Moby Dick, per intenderci. I monologhi paterni di fronte al figlio che li ascolta senza interromperlo, sono ripresi pari pari da quelli del capitano Achab. E poi, oltre la letteratura, ci sono le suggestioni della pittura, del teatro, un mash-up di generi, insomma, da cui spero di aver fatto uscire qualcosa di personale».
Ambientato in un futuro dove lo spazio è stato colonizzato, ma sulla Luna esistono comunque i pirati che sfidano l’ordine costituito, Ad Astra racconta di una missione finalizzata a scoprire il perché di una serie di catastrofi energetiche che minacciano il futuro della Terra. Si pensa possano essere un effetto del progetto Lima, una missione su Nettuno lanciata una quindicina d’anni prima e da cui però nessuno ha più fatto ritorno. A capitanarla c’era H. Clifford McBride di cui ora si sa che è sopravvissuto, ma la cui salvezza potrebbe essersi trasformata in pazzia. È proprio suo figlio che viene dunque spedito su Marte, affinché da lì lanci un appello che possa ricondurre il padre alla ragione: in realtà l’obiettivo, tenuto segreto anche al giovane McBride, è localizzarlo per eliminarlo…
Più che al macrocosmo, James Grey è soprattutto interessato al microcosmo delle relazioni umane. «È una storia delicata – dice ancora – un’esplorazione dei sentimenti: un figlio che si è sentito abbandonato dal padre e che di questo abbandono ha fatto la propria corazza di solitudine».
In Ad Astra abbondano le voci fuori campo e spesso è difficile capire se abbiano a che fare con sogni, incubi, realtà. Personaggio scollegato da tutti, l’astronauta Brad Pitt tornerà alla fine a casa, pacificato e ormai pronto «a vivere e ad amare». Da convinto «vagabondo delle stelle» a felice prigioniero del pianeta Terra…
Il Giornale