Locarno Film Festival: il fascino eterno di un gesto antico come cullare

Locarno Film Festival: il fascino eterno di un gesto antico come cullare

«Maternal» della regista Maura Delpero è l’unico film italiano in concorso

Da chissà quanto tempo non si vedeva sul grande schermo del cinema, che poi è il grande schermo del mondo, il gesto semplice del cullare. In un proliferare di pellicole su famiglie più o meno disfunzionali era forse necessario che qualcuno, spazzando via psicologie contorte e problematiche sociali, riconducesse il discorso sulla maternità a questo gesto antico che compendia in se amore, protezione, pace.Lo fa il trentottenne regista Damien Manivel, che da ex ballerino classico ben conosce l’importanza del linguaggio dei movimenti, con un’opera tanto esile quanto poetica in concorso a Locarno. Si intitola Les Enfants d’Isadora e si ispira a Madre, l’assolo di danza su musica di Scriabin creato da Isadora Duncan nel 1913, all’indomani della tragica morte dei due figlioletti, annegati nella Senna in un incidente d’auto. Una danza che, concentrandosi sui ritmi ciclici della natura, sottolinea nella tenerezza dell’atto del cullare la sublimazione dell’insopportabile dolore dell’addio a un figlio, in procinto di svanire nel regno delle ombre. Costruito in tre atti, il film restituisce il senso della perdita e la forza consolatoria dell’arte attraverso i corpi di quattro donne che un secolo dopo si confrontano con la coreografia della Duncan: una giovane danzatrice, un’adolescente disabile con la sua insegnante e una vecchia signora di colore, tutte sintonizzate sull’emozionalità di quella fluida partitura di passi.Curiosamente il motivo conduttore di Les enfants d’Isadora è in qualche modo speculare a quello di Maternal, unico film italiano del concorso locarnese, dove tuttavia non si parla di madri orfane, ma di madri mancate, ovvero di una scelta di devozione a costo di una sofferta esclusione di maternità. Di esperienza documentarista, l’esordiente Maura Delpero ha realizzato questo primo lungometraggio in Argentina, paese a lei caro, ambientando la storia in un hogar, cioè un istituto di accoglienza per minorenni gravide. Si tratta di una realtà che ben conosce e si capisce dalla naturalezza con cui ne riflette atmosfere e quotidianità: da un lato un microcosmo di ragazze in difficoltà, dall’altro donne votate a Dio e ad assistere il prossimo, cosa che vieta loro la procreazione. Ma la nuova arrivata Suor Paola, giovane italiana di segreta e misteriosa serenità, nell’accudire una bimba che molto le si attacca, sente nascere dentro di sé un viscerale bisogno di maternità che mette a dura prova la sua vocazione. La Delpero trova solo a metà del percorso questo filo narrativo all’interno di un film che, sia pur con convincente rigore formale, resta in bilico fra finzione e documentario; e tuttavia la seconda parte è felice, e l’immagine della monaca che culla la bimba fra le braccia restituisce l’essenza atavica di quel gesto d’amore.

Alessandra Levantesi Kezich, lastampa.it

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